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martedì 11 giugno 2013

Recensione: La seconda morte di Mallory

Titolo: La seconda morte di Mallory
Autore: Reinhold Messner
Editore: Bollati Boringhieri
Collana: Varianti 
Pagine: 236
Prezzo: 16,50 euro

Descrizione:
Nel 1924, lo scalatore inglese George Mallory, insieme al compagno Andrew Irvine, tentò la prima conquista dell’Everest. Entrambi morirono nell’impresa – erano al terzo tentativo – ma nessuno ha mai saputo con certezza se prima o dopo aver raggiunto la cima. Di sicuro, entrambi furono avvistati a circa 250 metri dalla vetta, prima che scomparissero per sempre dietro alle nubi. Poi, nel 1999, il ritrovamento del corpo perfettamente conservato di Mallory ha riproposto questa storia leggendaria. Purtroppo Mallory non aveva con sé la macchina fotografica che avrebbe potuto confermare o meno il compimento dell’impresa: non fu mai ritrovata neppure la foto della moglie che intendeva lasciare sulla cima a testimonianza della sua conquista. 
Reinhold Messner, il più grande scalatore vivente, celebre tra l’altro per aver compiuto la prima ascensione dell’Everest senza ossigeno e in solitaria, proprio sulla parete tentata da Mallory sessant’anni prima, affronta l’enigma della fine del suo predecessore, e ci offre una ricostruzione insieme documentata e romanzesca. Attraverso la vicenda pionieristica di Mallory, riletta alla luce della propria esperienza e ricostruita al di là del mito, l’autore di questo racconto appassionante accompagna il lettore sulla scena himalayana, quando era ancora sede d’imprese eroiche, prima che diventasse meta turistica per comitive. E fornisce, forse, la soluzione dell’enigma.

  
 L'autore:

Reinhold Messner, uno dei più grandi alpinisti viventi, vive tra Merano e Schloss Juval, in Val Senales (Alto Adige), dove cerca di mettere in pratica le sue idee sull’uso ecocompatibile della montagna. Tra i suoi libri: La montagna nuda. Il Nanga Parbat, mio fratello, la morte e la solitudine(2003), K2 Chogori. La grande montagna (2004), La montagna a modo mio (2009), Grido di pietra. Cerro Torre, la montagna impossibile (2009), Razzo rosso sul Nanga Parbat (2010), Parete ovest. La montagna senza compromessi (2011), On top. Donne in montagna (2012). Per Bollati Boringhieri ha pubblicato Salvate le Alpi (2001).
La mia recensione:

A metà tra il saggio e la letteratura di viaggio, La seconda morte di Mallory ripercorre la storia di una grande impresa: il primo tentativo di scalata del monte Everest.
Fu nel 1924 che lo scalatore inglese George Mallory, insieme al suo secondo Andrew Irvine decise di conquistare la montagna più alta del mondo. Quel che si sa per certo è che si avvicinò di parecchio alla meta perché l’ultima volta che fu avvistato era a soli 250 metri dalla vetta, subito dopo però se ne persero le tracce e da quel punto in poi la sua vicenda rimane avvolta nel mistero.
Mallory e Irvine non fecero più ritorno a casa. Tanto bastò per ottenere la certezza che fossero morti entrambi, benché i corpi non fossero stati ritrovati. Quel che rimaneva impossibile da verificare era l’esito stesso dell’impresa.
I due scalatori morirono in fase di discesa, dopo aver toccato la vetta o prima ancora di raggiungerla?
Quando nel 1999 fu ritrovato il corpo di Mallory, il dibattito si riaccese sulla base dei nuovi indizi a disposizione ma, ancora una volta, nessuno fu in grado di fornire risposte univoche. Purtroppo la macchina fotografica dell’alpinista non fu ritrovata con il cadavere e, solo il rullino in essa contenuto avrebbe potuto fornire al mondo una prova schiacciate.
Oggi è Messner, uno dei più grandi scalatori viventi, a ricostruire l’intera vicenda e a proporci la soluzione dell’enigma in questo libro che, per gli appassionati di alpinismo sarà sicuramente un gioiellino imperdibile.
L’autore prende le mosse da una solida base documentale. Sono gli ultimi appunti scritti da Mallory, e le sue lettere indirizzate ai compagni che, unitamente ai dati geografici e alle conoscenze alpinistiche dell’epoca estrapolate dalla ricchissima letteratura in materia, costituiscono il terreno su cui costruisce il suo percorso speculativo. Il vero valore aggiunto è dato però dalla sua personale esperienza sul campo. Messner non ha semplicemente studiato sulla carta ma ha rivissuto in prima persona un’esperienza simile a quella del suo predecessore perché lui l’Everest, negli anni ’80, l’ha scalato sul serio, in solitaria e senza bombole di ossigeno. Ciò gli consente una rilettura lucida quanto sentita dell’intera avventura, una ricostruzione realistica che può vantare una doppia prospettiva sull’insieme: quella esteriore, fornita dall’analisi dei documenti, e quella interiore, fornita dal vissuto personale.
A rendere oltremodo vibrante il racconto di Messner è proprio la sua possibilità di immedesimazione che finisce per sorreggere una particolarissima struttura narrativa. Il testo infatti si articola in tre voci: quella dei documenti − fedelmente, riprodotti −, quella del narratore − che a partire dagli stessi racconta la cronaca degli avvenimenti −  e quella di Mallory che si racconta in prima persona.
Compiendo un’operazione ardita, egli dà voce allo scalatore morto, consentendo al suo fantasma di inserirsi nella narrazione per condividere il suo stato d’animo e perché no, per provocare, a volte, quanti si accostano al mistero della sua morte.
Messner sembra immaginare Mallory come uno spirito inquieto, un morto a cui la curiosità, a volte morbosa, del pubblico, non ha concesso il meritato riposo.
Mentre si delineano i contorni di un’impresa epica, degna del più avvincente romanzo di avventura, affiorano  infine le deduzioni dell’autore che, anche in assenza della famosa macchina fotografica, sente comunque di poter dire, una volta per tutte, come sono andate le cose.
Ma è così determinante saperlo?
Leggendo questo libro si comprende che, forse, l’impresa ha più valore del suo stesso esito. Quel che fa di Mallory un mito dopotutto, non è tanto l’aver conquistato o  meno la vetta quanto l’aver sacrificato la sua stessa vita nel tentativo di raggiungerla, l’aver avuto il coraggio di provarci e l’aver spianato, in parte, la strada per quelli che ci hanno provato dopo.
Lì dove il monte Everest è metafora dell’impossibile, Mallory è la personificazione dell’aspirazione.
Non essendo una sportiva né tantomeno un’appassionata di montagna, mi sono accostata da profana a questo libro. Non sapevo assolutamente cosa aspettarmi e devo ammettere di esserne rimasta piacevolmente sorpresa; la lettura si è rivelata molto interessante, mi ha permesso di imparare cose nuove e di affacciarmi idealmente su un universo che non avrei mai immaginato di esplorare.
Lo consiglio dunque tanto a chi è tentato dalle alte vette quanto a chi, come me, preferisce rimanere a bassa quota ma non disdegna di visitare nuovi mondi, fosse anche con il solo potere dell’immaginazione.




 

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