In libreria dall'11 luglio 2013
Titolo: L'estate nera
Autore: Remo Guerrini
Editore: Newton Compton
Pagine: 432
Prezzo: 9,90
DA QUESTO ROMANZO IN
USCITA IL FILM EPPIDEIS,
CON GIANMARCO
TOGNAZZI
ALL'INIZIO SEMBRAVA
SOLO UN GIOCO
UN’ESTATE COME TANTE. UN PAESINO
COME TANTI.
UN GRUPPO DI RAGAZZINI
INSOLITAMENTE CRUDELE.
TRENT’ANNI DOPO, NESSUNO DI LORO
HA DIMENTICATO QUELL’ESTATE…
Descrizione:
Massimino, Eva,
Attila, Saturnina e poi Canavesio, Federico, Santino e Giusi sono ancora dei
bambini durante quella torrida estate del ’62. Il giorno scherzano
e scorrazzano per le strade di Altavilla, un paesino del Monferrato, e la sera
dopo cena Carosello e a letto. Hanno solo dodici anni ma si sentono già grandi
su quel muretto e perseguitare Beniamino il matto, per sentirlo imprecare e
urlare, all’inizio è solo un gioco innocente e nessuno pensa davvero che finirà
male durante quella maledetta domenica d’agosto, mentre imperversa un terribile
temporale. Passano trent’anni e il macabro ritrovamento dei resti di Beniamino
nel cimitero di Altavilla rimette in moto i ricordi. E quei ragazzi del 1962,
che la vita ha disperso e allontanato, sono costretti a ritrovarsi nei luoghi
della propria infanzia. Diventando i protagonisti di una imprevista, improvvisa,
orribile resa dei conti.
L'autore:
Remo Guerrini. È nato a Genova nel 1948 ed è giornalista da quasi
quarant’anni. È stato direttore di «Epoca», «Il Giorno», «Focus», «Primo Piano»
e dell’edizione italiana di «Selezione dal Reader’s Digest». Attualmente dirige
il mensile «Meridiani». Nei primi anni Ottanta è stato, con Andrea Santini, il
primo italiano a pubblicare spy-story nella collana Segretissimo. È autore di
numerosi romanzi, racconti gialli, thriller e libri di fantascienza, alcuni dei
quali sono stati tradotti in Francia e Germania. Tratto da L’estate nera,
è in uscita nelle sale italiane il film Eppideis con Gianmarco
Tognazzi.
HANNO SCRITTO DE
“L’ESTATE NERA”
«Qualcosa di
arcaico e dolce dà musica alla piccola odissea degli incubi
quotidiani.»
Alberto Bevilacqua, Il Corriere
della Sera
«Una
rivelazione italiana che va oltre le etichette.»
Oreste del Buono, La
Stampa
«Un libro ben
fatto a livello di thrilling ma che, in un certo senso, esce fuori da ogni etichetta.»
Edmondo Dietrich, la
Repubblica
«Ci sono tutti
gli ingredienti del giallo, Ma […] l’estate nera è molto di più. Un affresco
spietato, sanguinolento e carico di emozioni forti del mitico
1962.»
Mario Paternostro, Il Secolo
xix
«Una vicenda
di dannazione e di crudeltà […], tanto universale quanto immediatamente
riconoscibile.»
Danilo Arona, Il
Piccolo
DAL
PROLOGO:
Il padre di Santino
ammazzava di lunedì.
Alla domenica sera,
qualsiasi fosse la stagione, si metteva a letto più presto del solito. Aspettava
che finisse Carosello, ciondolava un
po’ guardando scorrere i titoli e tutto il cast del Caso Maurizius, elettricisti compresi,
ripeteva a bassa voce le sconcezze sulle cosce delle Kessler che aveva sentito
al mattino al bar Italia, ridacchiavamentre sua moglie brontolava “piano, che il
bambino ti sente”, e alla fine si alzava da tavola.
Era un uomo grosso,
con i capelli tagliati all’umberta, la faccia quadrata e le labbra sottili. A
quell’ora gli era già venuta una barba lunga e dura: quando Santino si rizzava
in punta di piedi, per baciarlo prima che se ne andasse in camera, si sentiva
raspare sulle guance.
La televisione era
incassata in un angolo del tinello color legno di ciliegio: una Telefunken
marrone dorato che la madre di Santino aveva scelto proprio perché s’intonava
con il colore della fòrmica, tutta intorno. Bisognava restare seduti a tavola,
per guardarla. L’avevano portata un paio d’anni prima su una Seicento multipla,
con scritto Telesistem sulle portiere. Un giovanotto in cappa blu, più da
droghiere che da elettrotecnico, se l’era caricata in spalle ed era salito fino
al terzo piano, mentre tutti i perdigiorno del paese stavano a guardare. Poi
aveva fissato con il filo di ferro l’antenna alla ringhiera sul balcone, aveva
trafficato con una manopola di plastica fissata sul fianco dell’apparecchio e,
dopo una dozzina di clic clac, lo schermo si era illuminato ed era comparso un
cerchio bianco, grigio e nero con scritto Rai. «È il monoscopio. Lo levano
quando si comincia», aveva detto il giovanotto e se n’era andato, lasciando
accesa la tivù. C’era voluto un bel po’ di coraggio a spegnerla, perché il
cerchio bianco, grigio e nero avrebbe anche potuto sparire per
sempre.
Chi voleva
continuare a guardare la televisione dopo cena doveva comunque restare a tavola,
mentre la mamma sparecchiava e tirava via tovaglioli, piatti e i bicchieri presi
con i punti della benzina, uno per ogni pieno di Mobil Super. Santino allora si
metteva in ginocchio sulla sedia impagliata, e s’ingozzava di tutto quello che
andava in onda, compresa Tribuna
Politica.
Il papà ammazzava
più d’estate che d’inverno, ma era logico. «Da luglio in poi c’è più gente, ci
sono i villeggianti, mangiano di più e la carne finisce prima», aveva spiegato
una volta sua madre che, se ce n’era bisogno, era sempre pronta a prendere il
coltello e a dare una mano.
Succedeva sempre
nello stesso modo, in realtà. Il trattore arrivava al mattino verso le sei, con
i fari ancora accesi anche se il sole già stava salendo dietro alle colline di
San Lorenzo. Era un Landini verde scuro, coperto di polvere e fango seccato. Lo
si sentiva da lontano perché aveva il motore fatto di un solo enorme cilindro, e
faceva un rumore profondo e lento, un punf-punf inconfondibile e inarrestabile,
che per tutta l’estate rimbombava nei cortili, giacché il Landini veniva
affittato anche per fare andare le trebbiatrici.
Quando udiva quel
punf-punf Santino scalciava la coperta imbottita che la mamma non metteva mai
via prima di maggio, scendeva dal letto e correva a sbirciare attraverso
lepersiane: la sua stanzetta era proprio a perpendicolo sul portone della
macelleria, e si poteva guardare di sotto.
Il rimorchio del
Landini aveva ancora le ruote con i copertoni di gomma tolti a un Dodge avanzato
dalla guerra. Nel cassone, il vitello teneva il muso imbiancato dalla bava
contro una stanga di ferro. Gli avevano già bendato gli occhi e puzzava di
letame e di paglia inzuppata di piscio. Se ne stava tranquillo, però: agitava le
orecchie e cercava di muovere a destra e a sinistra il testone fasciato negli
stracci di una vecchia camicia lisa.
Poi il trattore
andava in retromarcia e spingeva il rimorchio proprio contro la porta della
macelleria. In strada non c’era ancora nessuno, e i colpi degli zoccoli del
vitello sul cassonerimbombavano come tuoni.
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