Titolo: L'uomo che cammina
Autore: Flavio Andriani
Autore: Flavio Andriani
Editore: Les flâneurs
Pagine: 173
Prezzo: 14,00
Descrizione:
Andrea Bufi è uno stimato psicanalista barese, amante del
bello ma con episodiche manifestazioni di una personalità duale. La sua routine
famigliare è interrotta da un viaggio a Firenze, per assistere al Lorenzaccio
del suo amato Carmelo Bene: il furto di una scultura e un omicidio rendono Bufi
inquieto e mettono in pericolo lui e sua moglie Giorgia.
Inizia così un viaggio che fa tappa in Salento per approdare
a Bali, una fuga mascherata da vacanza prolungata. Nel teatro balinese, lo
psicoanalista trova un contraltare all’effetto “Lorenzaccio” (la sensazione di
non essere padrone delle proprie azioni) e intraprende il proprio cammino per
espiare e ritrovarsi.
L’uomo che cammina è un romanzo in cui l’introspezione si fa
gesto concreto, in cui la ricerca di se stessi è un cammino effettivo, il
viaggio non è solo metaforico e l’arte e il teatro condizionano le azioni del
protagonista, vittima della bellezza.
La mia recensione:
Sigmund Freud sosteneva che la psiche umana è simile a un
iceberg, la parte che ci è comunemente accessibile non è che la punta, il che
significa che nessuno di noi può affermare di conoscere davvero se stesso.
Andrea Bufi, psicanalista di professione, lo sa benissimo,
eppure il giorno in cui si rende conto di non riconoscersi più non può che
restarne sconvolto. Possibile che per
una vita abbia convissuto con una metà estranea annidata nei recessi della sua
mente? Possibile che quella metà oscura sia in grado di compiere azioni che
normalmente giudicherebbe inammissibili?
La sua odissea comincia una sera a Firenze. L’uomo vi si reca
per assistere alla rappresentazione teatrale del Lorenzaccio di Carmelo Bene, artista per cui nutre una grandissima
passione. Poco prima di entrare a teatro si imbatte in tre brutti ceffi che
discutono fra loro, non riesce a capire cosa si dicono però, quando si allontanano,
nota che hanno dimenticato una valigia. Andrea, spinto da un’irrefrenabile
curiosità, la apre e dentro trova un tesoro: uno studio de L’uomo che cammina di Giacometti. Essendo anche un appassionato d’arte,
riconosce subito la piccola scultura e non ha alcun dubbio sul suo inestimabile
valore. Un brivido gli percorre la schiena mentre comincia a chiedersi cosa
fare. Tentare di restituire l’oggetto ai tre sconosciuti, che sicuramente sono
dei ladri? Consegnarla alle autorità, comportandosi da onesto cittadino, o… tenerla
per sé?
L’Andrea Bufi che tutti conoscono non sceglierebbe mai la
terza opzione ma, al cospetto di quella meraviglia, scatta in lui qualcosa che
lo spinge ad agire proprio come non vorrebbe: in un attimo afferra la statuina,
la lascia scivolare sotto il cappotto e corre a prendere il suo posto in
platea.
Quest’atto inconsulto diviene il primo anello di una sorta
di catena a reazione. Ovviamente i proprietari della valigia non tardano ad
accorgersi di quello che è successo e a porsi sulle tracce di colui che li ha
derubati.
Nel tentativo di sfuggire ai suoi inseguitori e di
difendersi, restando saldo nel proposito di non separarsi dal suo bottino,
Andrea si ritroverà a compiere una serie di azioni sconsiderate, sempre più
gravi, sempre più estreme.
La sua sarà una parabola di violenza e follia che gradualmente
lo spingerà ad alienarsi da se stesso.
A partire dall’input iniziale, il protagonista comincerà a
subire un processo di trasformazione che pian piano lo renderà estraneo a se
stesso, facendo emergere un doppio che mai avrebbe immaginato di ospitare dentro
di sé.
Partendo da un espediente narrativo che, per alcuni versi
richiama Uno, nessuno e centomila di
Pirandello, Flavio Andriani dà corpo a un romanzo fortemente introspettivo che,
con sorprendente efficacia, scandaglia la complessità dell’animo umano.
Ogni sequenza, ogni dettaglio della trama, ogni singola parola
si configurano come il risultato di uno studio attento e ben ponderato, poiché
nulla nel testo sembra essere lasciato al caso. Pur nella sua brevità, si offre
al lettore proprio come l’iceberg di freudiana memoria, giacché sotto la superficie
di un plot che ammalia e stupisce si stratificano numerosi significati (o significanti) e chiavi interpretative
che dischiudono un intero mondo.
Non è un caso che Andrea Bufi sia uno psicanalista lacaniano
perché l’intera storia si connota come
capitolo censurato della storia del soggetto, quel capitolo
appunto che Lacan identificava con l’inconscio.
Non è un caso che tutto cominci quando va in scena il Lorenzaccio perché Andrea, come il
protagonista dello spettacolo, si macchia di un gesto che disapprova. La
rappresentazione teatrale diviene specchio della realtà e viceversa. Inoltre
Carmelo Bene rimane una figura di riferimento dal principio alla fine, la sua
arte rivoluzionaria impregna le pagine ed egli stesso fa la sua comparsa, ancora
vivo e in piena attività, fra gli altri personaggi (un’emozione intensa se,
come me, lo avete amato).
D’altronde a risvegliare il Mr. Hyde che alberga nello psicanalista
è l’amore per l’arte che nella sua vita, come nel romanzo, non gioca un ruolo
marginale ma ne è protagonista. Questo sentimento rappresenta il punto debole
di Andrea che, in un certo senso, rimane vittima della bellezza.
Psicanalisi, arte, teatro, filosofia, passione si
intrecciano e si fondono in un racconto che si rivela essere un piccolo scrigno
straripante di spunti di riflessione, una perla narrativa in cui vale davvero la
pena perdersi per ritrovarsi.
Nessun commento:
Posta un commento