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lunedì 2 ottobre 2017

Recensione: La bambola del Cisternino

Titolo: La bambola del Cisternino
Autore: Diego Collaveri
Editore: Fratelli Frilli
Pagine: 300
Prezzo: 12,90

Descrizione:
Livorno. L’omicidio di una vecchia prostituta nei pressi del Cisternino risveglia nel commissario Botteghi ricordi sepolti dell’infanzia, tanto da divenire quasi una questione personale. Frustrato per gli scarsi risultati, non molla l’indagine neppure quando il Questore gli impone un caso più risonante. Un imprenditore edile, autore di importanti restauri storici della città, è stato trovato morto nel parco di Villa Corridi. Tra regolamenti di conti, inseguimenti nei sotterranei della città, un misterioso killer e un vecchio traffico di droga, le due indagini finiranno per intrecciarsi tra loro in un sottile gioco di parti, così inaspettato da mettere a dura prova le capacità investigative di Botteghi. Riuscirà il commissario a scoprire l’incredibile verità nascosta all’ombra dell’antico acquedotto Leopoldino? Un malinconico viaggio attraverso storie di vita cui non è concessa redenzione, cullati dalla melodia di una famosa canzone degli anni ’60.

La mia recensione: 
Parecchi chili di troppo, la pelle segnata dall’età, il trucco sfatto e gli abiti sciatti: Lucia Biagini non somiglia affatto a una bambola, eppure quando il commissario Mario Botteghi si ritrova davanti al suo cadavere, la vecchia canzone di Patty Pravo comincia a ronzargli nella testa, mentre uno strano formicolio alla base della nuca gli provoca un senso di malessere, misto a una specie di nostalgia. Sarà perché la donna era una prostituta e, come tale, usata alla stregua di un giocattolo dagli uomini che si avvalevano dei suoi servizi o perché nel camper in cui abitava ci sono vestiti di una taglia troppo piccola per la sua stazza, l’uomo non saprebbe dirlo con certezza, l’unica cosa di cui è sicuro è di voler acciuffare il suo assassino. È così determinato che quando il Questore tenta di distogliere la sua attenzione da questo caso affinché indaghi su un omicidio più importante, quello dell’imprenditore edile Marcello Andreini, Botteghi decide di seguire entrambi i casi.
Il giallo si apre così proponendoci due piste investigative distinte. La narrazione procede su due binari paralleli che tutti credono destinati a non incontrarsi mai ma che, in realtà, a un certo punto, finiranno per intrecciarsi confluendo in un percorso unico.
Quale può essere il legame fra un’anziana una prostituta e un uomo impegnato nei più importanti restauri storici della città?  Stando a quel che risulta, i due non si conoscevano, non c’è nulla che possa accomunarli, se non il Cisternino, che in modi diversi ricorre in entrambi i crimini.
Ricalcando lo schema classico del romanzo poliziesco, Diego Collaveri, tesse una trama fittissima di misteri, rimandi, apparenti coincidenze, che si delinea attraverso un susseguirsi di interrogatori e una meticolosa analisi degli indizi rivenuti sulle scene del crimine. È facendo affidamento sui dati raccolti e sulle sue capacità deduttive che il commissario tenta di sbrogliare la matassa.
Il processo investigativo rappresenta il fulcro della narrazione che, tuttavia, si arricchisce di diverse sfumature. La Bambola del Cisternino si connota, infatti, come un giallo profondamente radicato nel territorio di riferimento. Livorno non si limita a fare da cornice ma diviene un elemento cardine per la comprensione e la soluzione stessa del mistero. Leggendo non ci si sente solo parte di un enigma che stuzzica la curiosità e invoglia ad arrivare fino in fondo per ottenere la soluzione, ma si ha la sensazione di essere immersi nei posti in cui i fatti si svolgono, di osservarne i paesaggi, di respirarne le atmosfere e di ripercorrerne la storia. Man mano che il plot si sviluppa, l’autore ci offre una sequenza di cartoline che ci raccontano la città, non solo nel suo presente, ma in un gioco di sovrapposizioni fra vecchio e nuovo che ci rende partecipi anche dei cambiamenti che negli anni l’hanno segnata.
Alle immagini evocate in relazione ai luoghi, si associano poi quelle che ritraggono i personaggi e i loro vissuti. Le vittime, in questo libro, non svolgono il ruolo di mere comparse e, al di là di tutto ciò che può riguardare i crimini commessi, hanno delle storie di vita da raccontarci.
Lucia Biagini rappresenta una categoria, quella delle donne sfruttate, abusate, costrette a vivere ai margini senza possibilità di riscatto.
Marcello Andreini, invece, rappresenta un ceto sociale agli antipodi, è un imprenditore, è ricco, è un uomo di successo, ma nondimeno nasconde degli scheletri nell’armadio. La sua esperienza pone sotto i riflettori l’altra faccia della medaglia, parlandoci di un vizio che distrugge, irretisce e, sebbene in modo differente e per ben altre vie, conduce allo stesso stadio di isolamento degli ultimi.
Fra loschi traffici, inseguimenti, sparizioni, si delineano così le anime dei protagonisti di questa vicenda, compresa quella dello stesso commissario che, non meno degli altri, ha molto da rivelare al di fuori del ruolo che gli compete.
Botteghi è un uomo segnato da una grave perdita e dal senso di colpa, un padre fallito, un poliziotto ostinatamente aggrappato al desiderio di giustizia ma giunto alla fase del disincanto, quella in cui si sa che la vita non è fatta di schieramenti fra buoni e cattivi, che il marcio è ovunque, anche laddove dovrebbe regnare la rettitudine, e che nemmeno la morte rende tutti uguali, giacché ci sono morti illustri, come Andreini, e morti di cui non importa a nessuno, come Lucia.
E sarà proprio quest’ultima a sconvolgere l’uomo in modo inaspettato. La prostituta uccisa risveglierà vecchi ricordi costringendolo a fare i conti con una pagina della sua infanzia che credeva di aver dimenticato. Risolvere il suo caso per lui equivarrà anche a chiudere un vecchio conto rimasto in sospeso con se stesso.
Un romanzo avvincente e malinconico, scandito dal riff di una canzone che profuma di passato ma nondimeno scandisce con efficacia il ritmo del presente.







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