venerdì 8 febbraio 2013

Recensione: Il colore del latte

Titolo: Il colore del latte
Autrice: Nell Leyshon 
Editore: Corbaccio
Collana: Narratori Corbaccio
Pagine: 180
Prezzo: 14 euro


Descrizione:
È la primavera del 1831 quando Mary incomincia a scrivere la sua storia. Scrive lentamente, ci vorranno quattro stagioni perché racconti tutto. Ma non importa: scrivere è diventato un bisogno primario per lei, come mangiare e dormire. Viene da una famiglia di contadini, ha quindici anni, una gamba più corta dell’altra e capelli chiari come il latte. Conosce solo la fatica del lavoro nei campi, proprio come sua madre, suo padre e le sue sorelle. Conosce solo il linguaggio della violenza, che il padre le infligge se non lavora abbastanza. Ma ha un cervello lucido e una lingua tagliente. Un giorno il padre la allontana di casa perché il vicario vuole una ragazza che accudisca la moglie malata. Mary non vuole abbandonare l’univa vita che conosce, ma non ha scelta. E nella nuova casa imparerà a scrivere, e scrivere rende liberi anche se la libertà ha un prezzo.


L'autrice: 

Nell Leyshon è nata a Glatsboury, in Inghilterra e vive nel Dorset. È autrice pluripremiata di numerose sceneggiature, soprattutto teatrali. Passerà alla storia per il suo talent: è infatti la prima sceneggiatrice donna a cui il Shakespeare’s Globe Trust abbia mai commissionato (dalla sua fondazione nel  1599) uno spettacolo per il Globe, il teatro più famoso del mondo, il luogo in sui Shakespeare stesso lavorò ai suoi capolavori. Forse per l’influsso delle numerose sceneggiature prodotte, la scrittura di Nell Leyshon coinvolge e assorbe immediatamente, i suoi personaggi conquistano e convincono come fossero persone in carne e ossa. Il colore del latte ha stupito la stampa e il pubblico internazionali e ha conquistato tutti in casa editrice.
 
La mia recensione:

Quindici anni, capelli color del latte, una gamba più corta dell’atra, la lingua svelta come quella del gatto che lappa il latte dal secchio.
È l’anno del Signore 1831 e Mary affida a un quaderno i suoi pensieri, la sua storia. Sono parole vergate a fatica le sue, parole di una ragazza che non ha studiato perché nata e cresciuta in una famiglia di contadini. Ultima di quattro sorelle, nella sua vita, non ha mai conosciuto altro che la fatica del lavoro nei campi e la violenza di un padre padrone, un padre che avrebbe preferito dei figli maschi e che non esita a usare le mani per rimettere in riga chi non sgobba abbastanza.
I giorni trascorrono tutti uguali in quel microcosmo che non riserva grandi gioie né sorprese, eppure Mary non vorrebbe essere altrove, si sente il sole nelle gambe e le basta poco per essere felice. Una corsa su in collina con le sorelle per aspettare l’alba, è sufficiente a regalarle il sorriso o la speranza di un domani migliore giacché il nonno dice che chi esprime un desiderio mentre guarda sorgere il sole lo vedrà avverarsi l’anno successivo.
Lei non ha tanti desideri, sa di sognare ma non cosa di preciso. Quando però suo padre le annuncia che ha deciso di mandarla a servizio dal parroco comprende subito ciò che non vuole. Mary non vuole abbandonare la fattoria che è tutto il suo mondo, non vuole separarsi dalle sorelle e soprattutto non vuole lasciare il nonno perché lo ama e perché, da quando ha perso l’uso della gambe e non è più buono a lavorare la terra, è l’unica a prendersi cura di lui.
Opporsi tuttavia non serve a niente giacché è il capofamiglia che comanda. Così Mary si ritrova costretta ad andare via e a cominciare una nuova vita in una casa tanto diversa dalla sua, tra persone che non conosce.
Sarà in quella casa che la ragazzina dai capelli chiari come il latte perderà l’innocenza andando incontro a un destino amaro quanto inimmaginabile ma sarà sempre lì che imparerà a leggere e scrivere e, nonostante tutto, la scrittura la renderà libera.
Scandito dal trascorrere di quattro stagioni, il racconto di Mary travolge il lettore come un fiume in piena. Le pagine che compongono il romanzo ci vengono offerte come fossero i fogli originali su cui la ragazza traccia a fatica le sue memorie. Lo stile narrativo è particolarissimo perché rispecchia in maniera fedele e straordinariamente credibile il registro espressivo della protagonista. Le minuscole dopo i punti, le imperfezioni linguistiche, l’assenza di virgolette nei dialoghi, le espressioni gergali rendono perfettamente l’idea di un diario redatto da una persona che, tra mille difficoltà, ha imparato a leggere ricopiando le parole da una vecchia Bibbia. Superati i primi attimi di “smarrimento”, ci si sente completamente calati nel personaggio, si ha l’impressione di sentire la voce di Mary e finanche di percepire gli odori dei campi, il tepore del camino acceso nella canonica, il sapore del formaggio fatto in casa. Prive di qualsiasi filtro, le immagini si susseguono vivide componendo un affresco dal sapore naif ma intriso di sentimenti tanto profondi da scavare dei solchi nell’anima.
Attraverso gli occhi della sua protagonista l’autrice descrive con grande efficacia tanto la condizione femminile nell’Inghilterra dell’ottocento, quanto la cultura contadina, imprescindibile per comprendere a pieno la storia narrata. Mary riflette nella sua personalità i tratti tipici del background socio-culturale di appartenenza, una visione del mondo che richiama alla mente “lo zappatore felice” di leopardiana memoria. Ignorante ma scaltra, ingenua e sincera tanto da sembrare trasparente come vetro, accoglie con semplicità la vita eludendo le speculazioni inutili ma non mancando di osservare tutto ciò che la circonda con occhi accesi di curiosità.  Ed è proprio la fiammella che arde in fondo al suo sguardo a fare la differenza. In casa del parroco la contadinella si vede circondata da libri, potrebbe limitarsi a spolverarli e riporli negli scaffali così come le viene ordinato ma lei non può fare a meno di sentirsi incuriosita dagli strani segni neri che affollano le pagine. Cosa avranno di così speciale, come potranno mai quei pastrocchi trasformarsi in parole per chi sa decifrarli?
Dovrà pagare un caro prezzo Mary per ottenere le risposte ma in quelle risposte si anniderà il segreto del suo riscatto. Attraverso un finale sconvolgente che colpisce come un pugno in pieno stomaco, Il colore del latte si rivela infatti un meraviglioso inno alla scrittura intesa come veicolo di libertà.







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