sabato 20 luglio 2013

Recensione: L'estate nera

Titolo: L'estate nera 
Autore: Remo Guerrini 
Editore: Newton Compton 
Pagine: 432 
Prezzo: 9,90



DA QUESTO ROMANZO IN USCITA IL FILM EPPIDEIS,

CON GIANMARCO TOGNAZZI

Descrizione:

Massimino, Eva, Attila, Saturnina e poi Canavesio, Federico, Santino e Giusi sono ancora dei bambini durante quella torrida estate del ’62. Il giorno scherzano e scorrazzano per le strade di Altavilla, un paesino del Monferrato, e la sera dopo cena Carosello e a letto. Hanno solo dodici anni ma si sentono già grandi su quel muretto e perseguitare Beniamino il matto, per sentirlo imprecare e urlare, all’inizio è solo un gioco innocente e nessuno pensa davvero che finirà male durante quella maledetta domenica d’agosto, mentre imperversa un terribile temporale. Passano trent’anni e il macabro ritrovamento dei resti di Beniamino nel cimitero di Altavilla rimette in moto i ricordi. E quei ragazzi del 1962, che la vita ha disperso e allontanato, sono costretti a ritrovarsi nei luoghi della propria infanzia. Diventando i protagonisti di una imprevista, improvvisa, orribile resa dei conti. 



L'autore:
Remo Guerrini. È nato a Genova nel 1948 ed è giornalista da quasi quarant’anni. È stato direttore di «Epoca», «Il Giorno», «Focus», «Primo Piano» e dell’edizione italiana di «Selezione dal Reader’s Digest». Attualmente dirige il mensile «Meridiani». Nei primi anni Ottanta è stato, con Andrea Santini, il primo italiano a pubblicare spy-story nella collana Segretissimo. È autore di numerosi romanzi, racconti gialli, thriller e libri di fantascienza, alcuni dei quali sono stati tradotti in Francia e Germania. Tratto da L’estate nera, è in uscita nelle sale italiane il film Eppideis con Gianmarco Tognazzi.

La mia recensione:


“La luce del giorno si divide la piazza tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa”. 
Sono parole di Fabrizio De Andrè, quelle con cui descriveva il Matto nell’omonimo brano del ’71 ma sono anche le prime parole che mi vengono in mente ripensando a Beniamino Mordiglia, l’inquietante personaggio intorno a cui ruota l’Estate nera.
Declamava un’incontestabile verità il buon Faber ricordando che dietro ogni scemo c’è un villaggio e il vecchio Benni non fa eccezione. Lo scemo è lui, lo scenario in cui si colloca, Altavilla, un paesino di campagna ubicato idealmente nel Monferrato, che non troverete su alcuna cartina ma che non faticherete a percepire come realmente esistente.
Non ha colpe Beniamino se non quella di essere un uomo solo, sporco, puzzolente e un po’ tardo nell’elaborare i pensieri. Tanto basta però a far di lui lo zimbello del paese e lo spauracchio dei più piccini. Benché non abbia mai fatto male a nessuno, quasi tutti sperano che il diavolo si appresti a portarselo via.
Per Massimino, Eva, Attila, Federico, Canavesio − poco più che dodicenni − è qualcosa di più che un fugace desiderio, è un’idea che pian piano assume contorni sempre più nitidi nelle loro menti. È l’estate del ’62. Tra corse nei campi, primi baci, camillini consumati al Bar Italia (rigorosamente seduti sui gradini perché i tavoli sono riservati ai grandi) e lenti ballati sulle note di Solomon Burke, la fantasia di ammazzare Benni si trasforma in qualcosa di più concreto, una sorta di macabro diversivo che si spinge sempre più in là ma che nessuno immagina possa finire male.
Il gioco si interrompe quando il vecchio viene trovato morto sul serio in fondo a un pozzo ma, in verità, questo non è che l’inizio di tutto.
All’epoca dei fatti, il triste episodio viene archiviato come incidente. A distanza di trent’anni tuttavia, il corpo di Mordiglia si ritrova a essere riesumato per caso e il medico legale nota un foro sospetto nel suo cranio. Il dubbio che l’uomo sia stato assassinato fa sì che il caso venga riaperto.
I ragazzini che negli anni ’60 giocavano a fare i killer saranno così costretti a tornare ad Altavilla per dimostrare la loro innocenza e chiudere i conti con i fantasmi del passato. 
“E’ come se avessero riattaccato con lo scotch una pellicola strappata, e adesso il film ricomincia e va a finire come era destino che finisse”. 
È proprio questa l’impressione che si ha passando dalla prima alla seconda parte del romanzo, passaggio che comporta un salto temporale e che decreta il vero inizio del giallo. Restando nella metafora cinematografica è un po’ come scivolare dalla visione di un film in bianco e nero a quella di un lungometraggio a colori. Lo scorrere del tempo diviene così visibile, tangibile, come fosse qualcosa di concreto, dotato di peso e spessore.
La prima metà di questo libro è una cartolina d’epoca che ritrae in maniera sorprendente i mitici anni ’60 combinando le atmosfere, le musiche, il costume sociale tipici del periodo con quelli della realtà contadina. Piccolo e tranquillo luogo di villeggiatura, Altavilla si presenta quasi come un crocevia, un punto nevralgico in cui la moda e le innovazioni portate dai turisti che di anno in anno ritornano venendo dalla città, si mescolano con la tradizione e la staticità della campagna, caratterizzata dai suoi ritmi lenti, dal suo essere fuori dal tempo e, parzialmente immune ai cambiamenti. Ma Altavilla è anche molto più di questo. Un po’ come la Derry di Stephen King − che non ho potuto fare a meno di ricordare − è il luogo dell’infanzia, quello delle estati che non si scordano mai; un grembo a cui si finisce per tornare allo scopo di ritrovare se stessi.
La seconda metà del libro, rappresenta appunto il ritorno che non coincide unicamente con il risveglio di un incubo − semmai è solo la punta di un iceberg − ma segna piuttosto l’inevitabile momento della resa dei conti, quello in cui ci si ferma a guardarsi dentro per capire cosa si è diventati.
Pur schierando sul tavolo tutte le carte tipiche del thriller, per di più con mano da giocatore esperto, l’autore ci consegna infatti un romanzo assolutamente incontenibile nei confini ristretti di un’etichetta, Nell’Estate nera c’è il giallo, c’è il sangue (tanto), c’è la suspense e ci sono i contenuti splatter per la delizia dei lettore più “morboso”, ma c’è anche la nostalgia, c’è la storia, l’introspezione psicologica, il bisogno di scavare a mani nude nell’inconscio per affrontare la Paura.
In fin dei conti Benni è il babau in cui ciascuno riversa le sue angosce personali, il contenitore pronto ad assumere la forma delle fobie di chi lo guarda; così come accadeva all’It kinghiano, (anche qui una vaga analogia ritorna) ucciderlo non basta a scongiurare il pericolo che torni a meno che non si riesca a scendere a patti con i propri fantasmi . 
“Questa storia ci costringe a trovarci un alibi per tutta l’esistenza” commenterà Attila giunto alla resa dei conti e, il ritorno ad Altavilla per i vecchi amici comporterà esattamente questo. Rimorsi, rimpianti, sogni inseguiti e fallimenti torneranno in superficie insieme al cranio di Benni inaugurando il tempo dei bilanci e della riconquista delle redini della propria esistenza − sempre che non sia troppo tardi.
Un’estate nera che si affronta con il fiato sospeso, con l’ansia di scoprire cosa accadrà ma anche con il groppo in gola, questa di Guerrini, un’estate cruenta e malinconica, pregna di paura e non meno di piacevoli ricordi; fruscia come un vecchio vinile imprimendo nella mente di chi legge un refrain dolceamaro che non si dimentica.






















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