Titolo: Casa di riposo Michail Bakunin
Autore: Daniele Borghi
Editore: Giulio Perrone
Pagine: 192
Prezzo: 15 euro
Descrizione:
Danilo scopre troppo presto che spesso della propria vita non si riesce a
fare quello che si vorrebbe: appena diplomato è costretto ad
abbandonare l'idea dell'università perché suo padre muore senza chiedere
il permesso, di infarto, costringendo sua madre nella morsa della
depressione e lui a cercarsi un lavoro. L'impresa sembra disperata, ma un insolito annuncio cambia il corso degli eventi. A Mantova, la casa di
riposo Michail Bakunin - istituto che ospita solo vecchi anarchici e
partigiani - cerca un tuttofare. Danilo parte senza pensarci troppo. A
Roma lo legano soltanto sua madre e due strambi amici: Assunta, ex
prostituta ultrasessantenne e Burgu, talentuoso meccanico rumeno che
gestisce un'officina clandestina. Danilo comincia a lavorare nella casa
di riposo e presto si affeziona ai "suoi" vecchi, ma il male incurabile
che sta per mettere fine alla vita di Anselmo, burbero anziano che
scrive poesie, muove in Danilo alcuni pensieri. Perché i suoi amici
devono aspettare la fine senza far nulla per il Paese che hanno
contribuito a liberare dal Fascismo e che corre verso una china sempre
più ripida? Non sarebbe meglio fare qualcosa di decisivo? Ma una
telefonata da Roma scuote di nuovo l'esistenza di Danilo, mettendo in
discussione presente e futuro. Non è solo, però, accanto a lui ci sono
comunque i suoi vecchi a insegnargli che, quando le situazioni sembrano
senza uscita, è ancor più necessario perseguire l'impossibile.
L'autore:
Daniele Borghi. Nato a Roma più di mezzo secolo fa, dov’è rimasto a studiare, vivere e
lavorare. Architetto pentito, falegname per vocazione e consulente
finanziario per squilibrio ormonale del destino, ha pubblicato la
raccolta di racconti Day & Night (Fazi-Libuk, 2001) e tre romanzi:
Il nome di una privazione, Pinocchio non abita più qui (Fara Editore, 2003-2005) e L’altra vita di Emma (Fernandel, 2010).
La mia recensione:
Una morte improvvisa e una bizzarra
offerta di lavoro.
Nell’ordine, sono i due eventi che
sconvolgeranno l’anonima esistenza di un ragazzo fresco di diploma e che metteranno
in moto il meccanismo narrativo di una storia davvero sopra le righe.
Danilo sogna di iscriversi all’università
quando il destino beffardo lo chiama a seppellire suo padre e a cercare un
lavoro. Un infarto, nemico subdolo quanto traditore, basta a far sì che il
giovane si ritrovi con un genitore di meno e una madre imbottita di
psicofarmaci perché incapace di tollerare la perdita.
Lavorare a quel punto diventa una
necessità. Cosicché Danilo, abbandona la guida dello studente e inizia a
sfogliare giornali di annunci, fino a che non trova qualcosa che possa fare al
caso suo: la casa di riposo Michail Bakunin di Mantova cerca un inserviente.
Non sono richieste competenze specifiche
e nemmeno esperienza. Per ottenere il posto sono sufficienti due soli
requisiti: essere anarchici e piacere agli ex partigiani ospiti dell’istituto.
Non si può negare che siano richieste
anomale ma… anarchico Danilo lo è, e trasferirsi da Roma per lui non è un
problema. Non gli resta che conquistare i vecchi per risolvere almeno uno dei suoi problemi.
È così che, volente o nolente, Danilo
finisce per voltare una pagina importante della sua vita e lanciarsi a
capofitto in un capitolo nuovo,
incredibile, a tratti surreale.
Sì, perché varcare la soglia della
Casa di Risposo non significherà solo ritrovarsi a fare i conti con anziani
stravaganti e bellicosi, servire pasti a orari prestabiliti e rassettare stanze
sature di vecchi ricordi. Tra le mura dell’ospizio
più anarchico che ci sia – non solo per il nome – Danilo troverà nuovi amici ma
soprattutto, scoprirà la sacra scintilla della ribellione e il desiderio di
farla tornare ad ardere.
Casa di riposo Michail Bakunin è un insolito romanzo di formazione ma è anche un romanzo
politico, il racconto, ritmato, toccante,
sognante, di un’Italia che va alla deriva e di un bisogno di cambiamento che si
traduce in un disperato urlo di battaglia. È la storia di un ragazzo costretto a
crescere, forse un po’ prima del tempo, ma è anche la storia di un piano folle
orchestrato da chi ha vissuto gli orrori della grande guerra e adesso sogna di
poter fare qualcosa di concreto per consegnare alle nuove generazioni un futuro
migliore.
Un’utopia, da un certo punto di
vista, che Daniele Borghi riesce a far vibrare tanto intensamente da farla
apparire possibile, fosse anche per un solo attimo. Man mano che si procede
nella lettura le emozioni si gonfiano come un mare in burrasca e, senza quasi
rendersene conto, ci si riscopre a volare con Danilo e con i vecchi anarchici
sulle ali di un sogno che guarda al domani trascinandosi dietro il fardello
della storia con la S maiuscola, quella che dovrebbe insegnare a non ripetere
gli errori del passato e che, sempre più spesso, si dimentica.
Intessendo una trama credibile e
assurda nel contempo, l’autore ci propone una carrellata di personaggi
indimenticabili, di quelli ai quali ci si affeziona al punto di non volerli più
lasciare andare.
Indimenticabile è Danilo, giovane
fuori dal coro; a volte sembra un vecchio intrappolato nel corpo di un ragazzino per la
profondità dei suoi pensieri, per la maturità insita nel suo modo di agire e di
vivere. Quasi un eroe sui generis, appare dotato di un dono che, al giorno d’oggi
rischia di diventare sempre più raro. La forza di Danilo sta nella capacità di
ascoltare annullando qualsiasi distanza. Ascolta l’ex prostituta Assunta e il
clandestino Burgu, messi al bando da una società che indossa la maschera della
tolleranza e continua a spingere al margine i “diversi” ma votati a occupare un
posto d’onore nel cuore del ragazzo che li sceglie come migliori amici quando è
ancora a Roma.
Ascolta i vecchi di Casa Bakunin fino
a comprenderli e a farsi ascoltare a sua
volta e, accoglie l’ultimo afflato di Anselmo.
Certo, le buone intenzioni non
bastano a sanare un mondo marcio e, probabilmente, neanche le azioni sono
abbastanza.
Quella di Danilo e dei suoi originali
compagni d’avventura è una vicenda dolce-amara in cui si annida anche il germe
del fallimento e il dolore che ne deriva. Non a caso il finale non fornisce alcuna
risposta, rimane lì come una porta aperta oltre la quale potrebbe nascondersi il
successo, così come una definitiva disfatta. Si rimane sospesi nell’epilogo,
proprio come in casa Bakunin, in bilico tra la morte passata e la morte che
arriva, in quello spazio di mezzo, meraviglioso e terrificante al tempo stesso,
in cui, a dispetto di tutto, si colloca
la vita vera.
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