Titolo: Le lupe
Autrice: Flavia Perina
Editore: Baldini & Castoldi
Pagine: 194
Prezzo: 15,00
Autrice: Flavia Perina
Editore: Baldini & Castoldi
Pagine: 194
Prezzo: 15,00
Descrizione:
Una signora borghese, Flaminia, con un passato rimosso e mai raccontato a nessuno che si è fatta una vita nuova e irreprensibile. Due figli: Carlo e Caterina. Un equivoco in una feroce domenica di calcio a Roma Nord, zona stadio. Una telefonata: Carlo è morto, ucciso dalla polizia durante una giornata di scontri con gli ultras. Solo che Carlo non è un ultras, ed è morto per niente o quasi niente. Un desiderio di vendetta che prende forma con rapidità, diventa folle ossessione e poi progetto condiviso con l’amica del cuore di tempi molto bui. Un giro di vecchie amicizie che si mette in moto all'improvviso, in odio all'ingiustizia. Un poliziotto. Un'obliqua caccia all’uomo sui social. Una soffiata. Una pistola. Due cinquantenni che tornano ragazze per cancellare l’ultimo e più insopportabile torto della vita.
L'autrice:
Flavia Perina (Roma, ‘58) è una giornalista con un passato giovanile in politica, a destra. Prima donna direttrice di un quotidiano nazionale (“Il Secolo d'Italia”), si è impegnata in cause giornalistiche e politiche controcorrente per la sua area di riferimento: l’integrazione, la promozione delle donne, la lotta alle diseguaglianze e l’equità verso i più deboli. Ha tre figli. Vive a Roma Nord. Questo è il suo primo romanzo, tra fiction e ricordi autentici di una generazione: molti dei ritratti che propone vengono dalla realtà e dalle sue esperienze.
La mia recensione:
Sembra
una notte come tante. Carlo Livi è appena rientrato a casa dopo aver giocato
una partita di rugby, il suo sporto preferito. È tardi, la casa è silenziosa,
la madre e la sorella dormono. Si sente stanco ed è ora di andare a letto anche
per lui, ma vorrebbe tanto fumare una sigaretta prima di concludere
definitivamente la giornata e il suo pacchetto è vuoto. Afferra al volo le
chiavi del motorino, il primo casco che gli capita a tiro ed esce.
Giusto il tempo di raggiungere un distributore e tornare indietro: questo il programma, la verità è che a casa non farà più ritorno. La sua vita si concluderà sull’asfalto, stroncata dalla mano pesante di un poliziotto in servizio.
La sua colpa? Aver indossato il casco sbagliato al momento sbagliato. Quel giorno a Roma si è giocata una partita di calcio e gli animi nelle tifoserie si sono scaldati, degenerando come spesso accade. Sfortuna vuole che il casco giallo-rosso preso nella fretta – e appartenente in realtà al ragazzo di sua sorella – agli occhi della polizia identifichi Carlo come un ultras, sebbene lui non sia affatto tifoso e allo stadio non ci sia mai andato.
Un banale fermo, un equivoco, qualche parola di troppo… e si consuma la tragedia. Il malcapitato non avrà il tempo nemmeno di finire in caserma perché verrà ucciso seduta stante dalla percosse di un esaltato in divisa.
Il giovane Livi è un personaggio di fantasia, ma bastano un paio di pagine affinché la mente si attivi e al suo nome comincino a sovrapporsi una serie di volti reali, visi di giovani come lui, visti innumerevoli volte in TV, sui giornali, sulle bacheche di Facebook… Facce impossibili da dimenticare, almeno per chi ha un pizzico di coscienza e la voglia di non chiudere gli occhi di fronte all’evidenza.
Stefano Cucchi, Federico Aldovrandi, Giuseppe Uva, Gabriele Sandri, Carlo Giuliani… e l’elenco purtroppo non si esaurisce qui.
L’incipit del romanzo della Perina, a cavallo fra la fiction e la più cruda realtà, si sovrappone in maniera inequivocabile a una lunga (troppo lunga per un paese civile) serie di storie vere che narrano di vite spezzate in modo inaccettabile, di casi giudiziari che, chissà perché, si chiudono tutti con assoluzioni quantomeno sospette.
Il caso di Carlo Livi ricalca lo stesso schema di quelli succitati. Lo stacco fra realtà e finzione è dato dalla reazione di Flaminia, la mamma del ragazzo morto ammazzato nel romanzo.
Proprio in memoria di quello che è già successo in circostanze simili, lei sa che non ci sarà giustizia per suo figlio, perché è vittima di un “intoccabile”. Lo sa perché lo ha già visto e lo comprende in maniera inequivocabile quando si reca in obitorio dopo l’autopsia e si accorge che il viso del suo ragazzo è stato lavato: l’impronta dello scarpone militare che lo macchiava a testimonianza del pestaggio, che lei ha visto con chiarezza e qualcuno ha anche fotografato, è stata cancellata.
La storia vergata dalla graffiante penna della Perina diviene così storia di una madre coraggio che si ribella in modo estremo alla corruzione, all’insabbiamento della verità, e decide di farsi giustizia da sola impugnando una pistola.
Non vi svelerò l’esito del progetto lucidamente folle di questa donna straziata e comprensibilmente arrabbiata con il sistema, per non fare spoiler, anche se in questo caso non ha importanza come va a finire, perché al dolore di una madre che ha perso un figlio non c’è mai fine, perché quello che conta è nel mezzo: nella disperazione, nel senso di impotenza, di abbandono, di ingiustizia con cui Flaminia deve fare i conti. Leggendo si ha l’impressione di penetrare nel suo cuore e nella sua mente, e davvero si soffre con lei.
Le Lupe non è una lettura facile, emotivamente parlando, è un libro che dà la scossa, che fa male, soprattutto se letto con gli occhi di una mamma, ma si tratta di un male necessario, di un atto dovuto per non dimenticare che le tracce di un misfatto si possono cancellare, l’impronta di uno scarpone può essere lavata via da un viso, ma sulla coscienza e sulla società civile rimane, ed è una macchia indelebile.
Giusto il tempo di raggiungere un distributore e tornare indietro: questo il programma, la verità è che a casa non farà più ritorno. La sua vita si concluderà sull’asfalto, stroncata dalla mano pesante di un poliziotto in servizio.
La sua colpa? Aver indossato il casco sbagliato al momento sbagliato. Quel giorno a Roma si è giocata una partita di calcio e gli animi nelle tifoserie si sono scaldati, degenerando come spesso accade. Sfortuna vuole che il casco giallo-rosso preso nella fretta – e appartenente in realtà al ragazzo di sua sorella – agli occhi della polizia identifichi Carlo come un ultras, sebbene lui non sia affatto tifoso e allo stadio non ci sia mai andato.
Un banale fermo, un equivoco, qualche parola di troppo… e si consuma la tragedia. Il malcapitato non avrà il tempo nemmeno di finire in caserma perché verrà ucciso seduta stante dalla percosse di un esaltato in divisa.
Il giovane Livi è un personaggio di fantasia, ma bastano un paio di pagine affinché la mente si attivi e al suo nome comincino a sovrapporsi una serie di volti reali, visi di giovani come lui, visti innumerevoli volte in TV, sui giornali, sulle bacheche di Facebook… Facce impossibili da dimenticare, almeno per chi ha un pizzico di coscienza e la voglia di non chiudere gli occhi di fronte all’evidenza.
Stefano Cucchi, Federico Aldovrandi, Giuseppe Uva, Gabriele Sandri, Carlo Giuliani… e l’elenco purtroppo non si esaurisce qui.
L’incipit del romanzo della Perina, a cavallo fra la fiction e la più cruda realtà, si sovrappone in maniera inequivocabile a una lunga (troppo lunga per un paese civile) serie di storie vere che narrano di vite spezzate in modo inaccettabile, di casi giudiziari che, chissà perché, si chiudono tutti con assoluzioni quantomeno sospette.
Il caso di Carlo Livi ricalca lo stesso schema di quelli succitati. Lo stacco fra realtà e finzione è dato dalla reazione di Flaminia, la mamma del ragazzo morto ammazzato nel romanzo.
Proprio in memoria di quello che è già successo in circostanze simili, lei sa che non ci sarà giustizia per suo figlio, perché è vittima di un “intoccabile”. Lo sa perché lo ha già visto e lo comprende in maniera inequivocabile quando si reca in obitorio dopo l’autopsia e si accorge che il viso del suo ragazzo è stato lavato: l’impronta dello scarpone militare che lo macchiava a testimonianza del pestaggio, che lei ha visto con chiarezza e qualcuno ha anche fotografato, è stata cancellata.
La storia vergata dalla graffiante penna della Perina diviene così storia di una madre coraggio che si ribella in modo estremo alla corruzione, all’insabbiamento della verità, e decide di farsi giustizia da sola impugnando una pistola.
Non vi svelerò l’esito del progetto lucidamente folle di questa donna straziata e comprensibilmente arrabbiata con il sistema, per non fare spoiler, anche se in questo caso non ha importanza come va a finire, perché al dolore di una madre che ha perso un figlio non c’è mai fine, perché quello che conta è nel mezzo: nella disperazione, nel senso di impotenza, di abbandono, di ingiustizia con cui Flaminia deve fare i conti. Leggendo si ha l’impressione di penetrare nel suo cuore e nella sua mente, e davvero si soffre con lei.
Le Lupe non è una lettura facile, emotivamente parlando, è un libro che dà la scossa, che fa male, soprattutto se letto con gli occhi di una mamma, ma si tratta di un male necessario, di un atto dovuto per non dimenticare che le tracce di un misfatto si possono cancellare, l’impronta di uno scarpone può essere lavata via da un viso, ma sulla coscienza e sulla società civile rimane, ed è una macchia indelebile.
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