Titolo: La moglie straniera
Autore: Jan Guillou
Editore: Corbaccio
Collana: I narratori
Pagine: 300
Prezzo: 12,90
Autore: Jan Guillou
Editore: Corbaccio
Collana: I narratori
Pagine: 300
Prezzo: 12,90
Descrizione:
I fratelli
Lauritzen, ingegneri norvegesi, sono all’apice della loro carriera quando
scoppia la prima guerra mondiale. Sven decide di restare in Inghilterra, dove si
era trasferito per seguire un amore. Oscar, che alternava l’attività di
costruttore a quella di commerciante di avorio in Africa occidentale, decide di
arruolarsi nell’esercito tedesco in seguito ai bombardamenti inglesi che gli
hanno distrutto la casa e ucciso i migliori amici. Lauritz, sposato a
un’aristocratica tedesca e impegnato nella titanica impresa della realizzazione
della ferrovia Oslo-Bergen, vede la propria famiglia minacciata dai sentimenti
anti-tedeschi dei norvegesi. Sono anni di distruzione e sofferenza ma alla fine
della guerra i fratelli si ritroveranno insieme in una Berlino devastata, pronti
a ricominciare a vivere e a costruire un futuro per se stessi e i propri
figli…
L'autore:
Jan
Guillou
Svedese di
origini francesi, è uno degli autori più letti e seguiti in patria. Giornalista
affermato, è stato arrestato nel 1973 con l’accusa di spionaggio, dopo aver
scritto un articolo sui servizi segreti svedesi. Da quell’episodio piuttosto
avventuroso, ebbe l’idea di scrivere romanzi. Nel 1998 Guillou ha scritto Il
Templare, primo suo volume tradotto in italiano e primo libro della serie
Il romanzo delle Crociate, 160.000 copie vendute in Italia. Con I
costruttori di ponti Guillou cambia luogo e spazio rispetto agli intrighi
della Terrasanta del Dodicesimo secolo, scrivendo una saga familiare in cui
passioni, amori e storie di tre fratelli si intrecciano sullo sfondo del
movimentato Ventesimo Secolo.
La mia recesione:
Atteso seguito de “I ponti di Bergen” (la mia recensione qui), “La moglie straniera” riprende la storia dal punto in cui era stata
interrotta. Il volume precedente si concludeva con uno scambio epistolare tra i
fratelli Lauritzen. Grazie a un articolo di giornale, Lauritz aveva scoperto
che Oscar si trovava nell’Africa
Orientale Tedesca ed era appunto riuscito a contattarlo. Quest’ultimo, avendo
appreso delle difficoltà economiche del fratello, aveva deciso di aiutarlo
offrendogli il denaro necessario per acquistare le azioni della Horneman & Haugen e
ottenere finalmente il consenso alle nozze con la sua amata Ingeborg −
ostacolate dal padre della ragazza fino a che il giovane non avesse raggiunto una solida
sistemazione lavorativa.
All’inizio di questo nuovo capitolo ritroviamo Lauritz che si accinge a dare un’importante svolta alla sua vita grazie all’interveto provvidenziale di Oscar. La somma ricevuta dall’Africa è tanto alta da consentirgli non solo di diventare un imprenditore ma di finanziare la costruzione di un’imbarcazione da regata − il Ran − in grado di competere con quella dello stesso barone von Freital, suo futuro suocero.
Le umiliazioni e le privazioni del passato diventeranno così solo un triste ricordo. Lauritz potrà finalmente ottenere il suo riscatto. Potrà portare all’altare Ingeborg e partecipare da protagonista a una competizione in mare.
Intanto Oscar seguita a progettare ferrovie in Africa e ad accumulare capitali facendo il cacciatore di elefanti ma, nel contempo, medita di tornare nella sua terra di origine insieme alla moglie e al figlio. A ostacolare la realizzazione di questo suo sogno interverrà lo scoppio della prima guerra mondiale, un evento storico drammatico che come un ciclone si abbatterà sulle vite di entrambi i fratelli. Il conflitto infatti avrà ripercussioni terribili tanto nella neutrale Norvegia, quanto nelle colonie tedesche d’Africa, non mancando di lasciare il segno.
In questo libro, come nel precedente, la narrazione è in terza persona ma procede a partire dai diversi punti di vista dei protagonisti; a quello di Oscar e Lauritz, si aggiunge qui anche quello di Ingeborg che rappresenta il terzo polo narrativo ma diventa anche un personaggio particolarmente iportante − non è un caso se il titolo fa riferimento proprio a lei. Moglie straniera perché è di origini tedesche ma, dopo aver sposato Lauritz, lo seguirà in Norvegia. Inizialmente si tratterà di un particolare quasi irrilevante ma quando scoppierà la guerra giocherà un ruolo determinante nell’evolversi degli eventi.
La saga familiare messa in moto ne “I Ponti di Bergen” si arricchisce dunque di nuovi accadimenti e nuove figure di riferimento. L’affresco storico già abilmente delineato nel primo capitolo, accoglie nuove sfumature. La corsa al cambiamento, le mire espansionistiche, la realizzazione di grandi imprese che avevano caratterizzato l’inizio del secolo subiscono un’ulteriore spinta sino a scontrarsi con l’orribile scoglio della guerra. Entusiasmo e speranza subiscono inevitabilmente una battuta d’arresto, soprattutto nel momento in cui l’illusione di una guerra lampo svanisce e l’orrore di un conflitto lacerante si esprime in tutte le sue forme.
Ancora una volta il background storico si afferma come uno dei maggiori punti di forza dell’opera e, se possibile, acquisisce maggior rilevanza nel sequel. La guerra raccontata da Guillou si avvale infatti di due prospettive che difficilmente trovano spazio nei manuali, consentendoci di ampliare la visuale fino a inglobare realtà peculiari, circoscritte, ma non per questo meno degne di essere raccontate.
Ecco dunque che assistiamo alle battaglie sul fronte africano, lì dove l’asperità del conflitto armato si somma a quella di un territorio difficile e selvaggio e alla ferocia già precedentemente in atto del colonialismo di Leopoldo II; e in contemporanea, vediamo l’odio razziale germogliare in una nazione neutrale. Benché la Norvegia non partecipi alla guerra, non rimane immune alle sue brutture. Pur non scendendo in campo, i norvegesi si schierano e maturano una profonda avversione per il popolo tedesco ritenuto responsabile di quanto sta accadendo. Nel caso specifico sarà Ingeborg a farne le spese e con lei i suoi figli, colpevoli di avere sangue misto.
Le domande rimaste in sospeso nel primo libro, ottengono tutte risposta. Il solo filo definitivamente reciso rimane quello legato a Sverre, il terzo fratello uscito di scena che qui non verrà più menzionato. Il finale lascia uno spiraglio aperto ma soddisfa in pieno le aspettative maturate in corso di lettura.
Unica piccola pecca rimane la freddezza dello stile narrativo che caratterizza “La moglie straniera” tanto quanto aveva caratterizzato “I ponti di Bergen” impedendo un vero coinvolgimento emotivo. L’autore descrive tutto con dovizia di particolari, caratterizza i suoi personaggi in maniera più che credibile ma riferisce la storia con un distacco quasi da cronista. Raggiunge la mente senza difficoltà ma, purtroppo, non riesce a toccare il cuore. In definitiva, un romanzo molto interessante ma non emozionante come avrebbe potuto.
All’inizio di questo nuovo capitolo ritroviamo Lauritz che si accinge a dare un’importante svolta alla sua vita grazie all’interveto provvidenziale di Oscar. La somma ricevuta dall’Africa è tanto alta da consentirgli non solo di diventare un imprenditore ma di finanziare la costruzione di un’imbarcazione da regata − il Ran − in grado di competere con quella dello stesso barone von Freital, suo futuro suocero.
Le umiliazioni e le privazioni del passato diventeranno così solo un triste ricordo. Lauritz potrà finalmente ottenere il suo riscatto. Potrà portare all’altare Ingeborg e partecipare da protagonista a una competizione in mare.
Intanto Oscar seguita a progettare ferrovie in Africa e ad accumulare capitali facendo il cacciatore di elefanti ma, nel contempo, medita di tornare nella sua terra di origine insieme alla moglie e al figlio. A ostacolare la realizzazione di questo suo sogno interverrà lo scoppio della prima guerra mondiale, un evento storico drammatico che come un ciclone si abbatterà sulle vite di entrambi i fratelli. Il conflitto infatti avrà ripercussioni terribili tanto nella neutrale Norvegia, quanto nelle colonie tedesche d’Africa, non mancando di lasciare il segno.
In questo libro, come nel precedente, la narrazione è in terza persona ma procede a partire dai diversi punti di vista dei protagonisti; a quello di Oscar e Lauritz, si aggiunge qui anche quello di Ingeborg che rappresenta il terzo polo narrativo ma diventa anche un personaggio particolarmente iportante − non è un caso se il titolo fa riferimento proprio a lei. Moglie straniera perché è di origini tedesche ma, dopo aver sposato Lauritz, lo seguirà in Norvegia. Inizialmente si tratterà di un particolare quasi irrilevante ma quando scoppierà la guerra giocherà un ruolo determinante nell’evolversi degli eventi.
La saga familiare messa in moto ne “I Ponti di Bergen” si arricchisce dunque di nuovi accadimenti e nuove figure di riferimento. L’affresco storico già abilmente delineato nel primo capitolo, accoglie nuove sfumature. La corsa al cambiamento, le mire espansionistiche, la realizzazione di grandi imprese che avevano caratterizzato l’inizio del secolo subiscono un’ulteriore spinta sino a scontrarsi con l’orribile scoglio della guerra. Entusiasmo e speranza subiscono inevitabilmente una battuta d’arresto, soprattutto nel momento in cui l’illusione di una guerra lampo svanisce e l’orrore di un conflitto lacerante si esprime in tutte le sue forme.
Ancora una volta il background storico si afferma come uno dei maggiori punti di forza dell’opera e, se possibile, acquisisce maggior rilevanza nel sequel. La guerra raccontata da Guillou si avvale infatti di due prospettive che difficilmente trovano spazio nei manuali, consentendoci di ampliare la visuale fino a inglobare realtà peculiari, circoscritte, ma non per questo meno degne di essere raccontate.
Ecco dunque che assistiamo alle battaglie sul fronte africano, lì dove l’asperità del conflitto armato si somma a quella di un territorio difficile e selvaggio e alla ferocia già precedentemente in atto del colonialismo di Leopoldo II; e in contemporanea, vediamo l’odio razziale germogliare in una nazione neutrale. Benché la Norvegia non partecipi alla guerra, non rimane immune alle sue brutture. Pur non scendendo in campo, i norvegesi si schierano e maturano una profonda avversione per il popolo tedesco ritenuto responsabile di quanto sta accadendo. Nel caso specifico sarà Ingeborg a farne le spese e con lei i suoi figli, colpevoli di avere sangue misto.
Le domande rimaste in sospeso nel primo libro, ottengono tutte risposta. Il solo filo definitivamente reciso rimane quello legato a Sverre, il terzo fratello uscito di scena che qui non verrà più menzionato. Il finale lascia uno spiraglio aperto ma soddisfa in pieno le aspettative maturate in corso di lettura.
Unica piccola pecca rimane la freddezza dello stile narrativo che caratterizza “La moglie straniera” tanto quanto aveva caratterizzato “I ponti di Bergen” impedendo un vero coinvolgimento emotivo. L’autore descrive tutto con dovizia di particolari, caratterizza i suoi personaggi in maniera più che credibile ma riferisce la storia con un distacco quasi da cronista. Raggiunge la mente senza difficoltà ma, purtroppo, non riesce a toccare il cuore. In definitiva, un romanzo molto interessante ma non emozionante come avrebbe potuto.
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