mercoledì 25 luglio 2012

Recensione: La scuola dei giochi segreti

Titolo: La scuola dei giochi segreti
Autrice: Rebecca Coleman
Editore: Dalai Editore
Collana: Pepe Nero
Pagine: 352

Prezzo: 9,90 euro

Descrizione:
Maryland, tardi anni Novanta. Nel cortile di una scuola Waldorf, tra precetti di Rudolf Steiner, insegnanti impettiti e sciami di adolescenti, l’incontro tra chi mai e poi mai avrebbe solo dovuto sfiorarsi. Lei, Judy McFarland, è una maestra d’asilo quarantatreenne dai sogni arenati e una livida vita coniugale che da tempo ha tragicamente rinunciato a se stessa; lui, Zach Patterson, è uno studente di sedici anni dalle maniere impertinenti, diviso tra una madre piena di mancanze e la gran fatica di essere il nuovo arrivato in città. Se il loro passo dall’amicizia alla relazione è breve e deciso, quello che li condurrà a un’ossessione fatale sarà una corsa a perdifiato nei campi incolti di vecchi, oscuri ricordi e dell’inconsapevolezza che, dopotutto, quella relazione non è che l’ultimo di una serie di segreti. La scuola dei giochi segreti è una spiazzante storia di frustrazione suburbana, densa di solitudine, imprudenza, desiderio che spoglia della ragione e voglia disperata di tornare indietro e rifare tutto diversamente.
L'autrice:

Rebecca Coleman, nata a New York, è laureata in Letteratura inglese all’Università del Maryland. Vive con la famiglia non lontano da Washington, dove tiene corsi di scrittura creativa.

La mia recensione 
Jude ha quarantatre anni, una famiglia, un lavoro che ama ma anche un gran senso di insoddisfazione che le cova dentro. Di certo non può dirsi vecchia, però si sente giunta a un punto morto. I suoi figli sono cresciuti abbastanza da essere autonomi e suo marito sembra essere diventato un estraneo. Completamente assorbito dal lavoro e dalle sue ambizioni non la degna più di uno sguardo. La passione che un tempo li univa è sfumata senza lasciare traccia, il matrimonio si è trasformato in una gabbia angusta in cui non c’è più spazio per l’amore né per la tenerezza.
Jude non può farsene una ragione, in fondo si sente ancora assetata di vita, il suo corpo reclama carezze e in segreto sogna una relazione che torni a farle battere il cuore.
Il suo sogno, ben presto, si farà strada nella realtà ma piuttosto che addolcirla di rosee sfumature la ammanterà di toni foschi perché a farle correre i brividi lungo la schiena sarà Zach, un ragazzino di soli sedici anni.
Jude è sconvolta, inorridita dalle sue sensazioni. Vorrebbe ricacciarle nell’inferno da cui sono emerse, ma non è semplice. Anche Zach è attratto da lei, la cerca, la desidera e non fa niente per nasconderglielo.
Così un bacio, quasi innocente, un errore commesso in un momento di debolezza sarà la scintilla che scatenerà un incendio di torbida passione.
Che male farà una volta ancora?
Questo interrogativo, pensato e puntualmente taciuto, si insinuerà come un tarlo nella mente dei due amanti e li spingerà sempre più a fondo, in un baratro da cui non c’è ritorno.
Non c’è amore nella storia raccontata da Rebecca Coleman. Sin dalle prime pagine si connota come una storia sbagliata, una storia di insana ossessione, disturbante non solo perché ci pone a confronto con un tabù ma perché ne mette a nudo i meccanismi ricordandoci che la nostra stessa società non è immune a certi guasti.
Il background che fa da sfondo all’intera vicenda, al pari di una cartina tornasole, ne enfatizza l’aspetto malato. Jude è una maestra d’asilo apprezzata da tutti, è una pioniera dell’innovativo metodo Steiner e i genitori della piccola comunità in cui opera fanno a gara per affidare a lei i propri figli. Stando al suo ruolo, dovrebbe essere una garante dell’ordine costituito, una sorta di fatina buona scelta per preservare l’innocenza dell’infanzia. È l’ultima persona da cui ci si aspetterebbe un comportamento come quello di cui si macchia. Ancor più sconcertante è il fatto che la sua relazione con Zach nasca e si consumi proprio tra le mura della scuola. Il ragazzo le viene infatti temporaneamente affidato perché svolga delle ore di volontariato aiutandola ad allestire un’asta di beneficenza.
Il ruolo sociale rivestito dalla donna si scontra dunque violentemente con la sua sfera privata complicando il tutto. Benché ciò la ponga nella condizione di essere additata ed etichettata come mostro, l’autrice sospende il giudizio e, implicitamente, ci induce a fare altrettanto.
Rivelandosi un’ottima conoscitrice dell’animo umano, delinea un ritratto psicologico di Jude molto approfondito spingendosi sino agli anni della sua infanzia. Così facendo ci  fornisce tutti i tasselli necessari per comprenderla, sebbene ciò non basti a  giustificarla.
La stessa perizia psicologica contraddistingue la caratterizzazione di Zach. La sua tenera età sicuramente lo pone nella posizione della vittima più che del carnefice, cionondimeno il suo comportamento suscita parecchi interrogativi.
Com’è possibile che due persone di età così diverse siano attratte sessualmente l’una dall’altra?
Non era la sua giovinezza a inebriarmi, ma il modo in cui lui faceva riaffiorare la mia, confessa Jude mentre Zach ammette a se stesso di essere attratto dal gusto del proibito, scoparsi una donna su un aereo che precipita è mille volte più eccitante che farlo in una camera da letto di una bella casa.
Un romanzo introspettivo, scabroso e intenso reso con una prosa raffinata quanto avvolgente che non rinuncia all’eleganza  neanche nelle descrizioni più osé. Lo si legge con un nodo allo stomaco eppure non si riesce a distogliere l’attenzione. Si avverte quasi il bisogno fisico di giungere all’ultima pagina per scoprire come si concluderà la storia. Viste le premesse, è impossibile attendersi un lieto fine, il realismo impregnerà anche le battute finali,  non ci sarà sconto di pena per i protagonisti ma neanche soddisfazione nell’assistere alla loro sconfitta.
A lettura finita, nonostante tutto, a prevalere è un senso di compassione e di grande rispetto per il dolore, in qualsiasi forma si manifesti.
D’altra parte, chi è senza peccato scagli la prima pietra.

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