giovedì 25 maggio 2017

Recensione: L'uomo che cammina

Titolo: L'uomo che cammina 
Autore: Flavio Andriani
Editore: Les flâneurs
Pagine: 173
Prezzo: 14,00

Descrizione:
Andrea Bufi è uno stimato psicanalista barese, amante del bello ma con episodiche manifestazioni di una personalità duale. La sua routine famigliare è interrotta da un viaggio a Firenze, per assistere al Lorenzaccio del suo amato Carmelo Bene: il furto di una scultura e un omicidio rendono Bufi inquieto e mettono in pericolo lui e sua moglie Giorgia.
Inizia così un viaggio che fa tappa in Salento per approdare a Bali, una fuga mascherata da vacanza prolungata. Nel teatro balinese, lo psicoanalista trova un contraltare all’effetto “Lorenzaccio” (la sensazione di non essere padrone delle proprie azioni) e intraprende il proprio cammino per espiare e ritrovarsi.
L’uomo che cammina è un romanzo in cui l’introspezione si fa gesto concreto, in cui la ricerca di se stessi è un cammino effettivo, il viaggio non è solo metaforico e l’arte e il teatro condizionano le azioni del protagonista, vittima della bellezza.

La mia recensione: 
Sigmund Freud sosteneva che la psiche umana è simile a un iceberg, la parte che ci è comunemente accessibile non è che la punta, il che significa che nessuno di noi può affermare di conoscere davvero se stesso.
Andrea Bufi, psicanalista di professione, lo sa benissimo, eppure il giorno in cui si rende conto di non riconoscersi più non può che restarne sconvolto.  Possibile che per una vita abbia convissuto con una metà estranea annidata nei recessi della sua mente? Possibile che quella metà oscura sia in grado di compiere azioni che normalmente giudicherebbe inammissibili?
La sua odissea comincia una sera a Firenze. L’uomo vi si reca per assistere alla rappresentazione teatrale del Lorenzaccio di Carmelo Bene, artista per cui nutre una grandissima passione. Poco prima di entrare a teatro si imbatte in tre brutti ceffi che discutono fra loro, non riesce a capire cosa si dicono però, quando si allontanano, nota che hanno dimenticato una valigia. Andrea, spinto da un’irrefrenabile curiosità, la apre e dentro trova un tesoro: uno studio de L’uomo che cammina di Giacometti. Essendo anche un appassionato d’arte, riconosce subito la piccola scultura e non ha alcun dubbio sul suo inestimabile valore. Un brivido gli percorre la schiena mentre comincia a chiedersi cosa fare. Tentare di restituire l’oggetto ai tre sconosciuti, che sicuramente sono dei ladri? Consegnarla alle autorità, comportandosi da onesto cittadino, o… tenerla per sé?
L’Andrea Bufi che tutti conoscono non sceglierebbe mai la terza opzione ma, al cospetto di quella meraviglia, scatta in lui qualcosa che lo spinge ad agire proprio come non vorrebbe: in un attimo afferra la statuina, la lascia scivolare sotto il cappotto e corre a prendere il suo posto in platea.
Quest’atto inconsulto diviene il primo anello di una sorta di catena a reazione. Ovviamente i proprietari della valigia non tardano ad accorgersi di quello che è successo e a porsi sulle tracce di colui che li ha derubati.
Nel tentativo di sfuggire ai suoi inseguitori e di difendersi, restando saldo nel proposito di non separarsi dal suo bottino, Andrea si ritroverà a compiere una serie di azioni sconsiderate, sempre più gravi, sempre più estreme.
La sua sarà una parabola di violenza e follia che gradualmente lo spingerà ad alienarsi da se stesso.
A partire dall’input iniziale, il protagonista comincerà a subire un processo di trasformazione che pian piano lo renderà estraneo a se stesso, facendo emergere un doppio che mai avrebbe immaginato di ospitare dentro di sé.
Partendo da un espediente narrativo che, per alcuni versi richiama Uno, nessuno e centomila di Pirandello, Flavio Andriani dà corpo a un romanzo fortemente introspettivo che, con sorprendente efficacia, scandaglia la complessità dell’animo umano.
Ogni sequenza, ogni dettaglio della trama, ogni singola parola si configurano come il risultato di uno studio attento e ben ponderato, poiché nulla nel testo sembra essere lasciato al caso. Pur nella sua brevità, si offre al lettore proprio come l’iceberg di freudiana memoria, giacché sotto la superficie di un plot che ammalia e stupisce si stratificano numerosi significati (o significanti) e chiavi interpretative che dischiudono un intero mondo.
Non è un caso che Andrea Bufi sia uno psicanalista lacaniano perché l’intera storia si connota come
capitolo censurato della storia del soggetto, quel capitolo appunto che Lacan identificava con l’inconscio.
Non è un caso che tutto cominci quando va in scena il Lorenzaccio perché Andrea, come il protagonista dello spettacolo, si macchia di un gesto che disapprova. La rappresentazione teatrale diviene specchio della realtà e viceversa. Inoltre Carmelo Bene rimane una figura di riferimento dal principio alla fine, la sua arte rivoluzionaria impregna le pagine ed egli stesso fa la sua comparsa, ancora vivo e in piena attività, fra gli altri personaggi (un’emozione intensa se, come me, lo avete amato).   
D’altronde a risvegliare il Mr. Hyde che alberga nello psicanalista è l’amore per l’arte che nella sua vita, come nel romanzo, non gioca un ruolo marginale ma ne è protagonista. Questo sentimento rappresenta il punto debole di Andrea che, in un certo senso, rimane vittima della bellezza.
Psicanalisi, arte, teatro, filosofia, passione si intrecciano e si fondono in un racconto che si rivela essere un piccolo scrigno straripante di spunti di riflessione, una perla narrativa in cui vale davvero la pena perdersi per ritrovarsi.


   

Nessun commento:

Posta un commento