mercoledì 2 ottobre 2013

Recensione: Il bambino nel paese dei canguri

Titolo: Il bambino nel paese dei canguri
Autore: Gilles Paris
Editore: Piemme
Collana: Narrativa
Pagine: 238
Prezzo: 15,50 euro
 
Descrizione:
Simon ha nove anni e vive con i genitori in un grande appartamento a Parigi. Suo papà fa lo scrittore (in realtà scrive libri
per gli altri), ma si occupa anche di lui e della casa, dato che la mamma è quasi sempre in Australia per lavoro.
Un giorno però il papà viene ricoverato per depressione, e a prendersi cura di Simon è l'eccentrica nonna Lola, nella sua
casa magica, piena dei ricordi di un grande amore, dove tiene sedute spiritiche insieme alle amiche "streghe".
Simon non capisce granché della malattia di suo padre, ma, andando a trovarlo in ospedale, per fortuna fa amicizia con Lily: una bambina dagli occhi viola che sa molte più cose di quante gli adulti siano disposti a spiegargli.
Grazie a lei, Simon riuscirà a trovare le parole per descrivere quello che sta succedendo intorno a lui. Fino a scoprire una verità impensabile.
 
 
Un libro che affronta con toni leggeri il tema drammatico della depressione. Il romanzo nasce dall'esperienza diretta dell'autore, che ha sofferto di questa malattia.
 
 
L'autore: 
 
Gilles Paris. Lavora nel mondo dell'editoria da anni. Il suo precedente romanzo, Autobiografia di una zucchina, ha riscosso grandissimo successo in Francia, dove ha venduto oltre 100.000 copie. L'autore è pubblicato in 7 paesi. 
 
La mia recensione:
 
In un mondo ideale i bambini non dovrebbero confrontarsi con la morte, il dolore, l’abbandono. Li vorremmo spensierati e felici, al riparo dalle brutture del mondo. Nella realtà però le cose non vanno sempre come si vorrebbe, la vita è fatta di luci e ombre e queste ultime non risparmiano i più piccoli. Così può accadere che un bimbo di soli nove anni si ritrovi a interrogarsi sul motivo dell’assenza prolungata della mamma, sul significato del velo che da qualche tempo offusca lo sguardo del papà, sull’origine della strana malattia che lo ha colpito, quella che la nonna chiama un “brutto raffreddore” ma che al posto degli starnuti fa fare cose stranissime come chiudersi in una lavastoviglie.
Depressione, è questo il nome del mostro che incombe sulla quotidianità di Simon, quello che minaccia di portargli via il padre mentre la mamma è già volata da un pezzo nel paese dei canguri, un nome che ignora e che i grandi evitano di pronunciare in sua presenza ma che dovrà imparare  a conoscere suo malgrado.
Non è esattamente un famiglia felice quella toccata in sorte al piccolo protagonista di questo romanzo. I genitori hanno smesso di andare d’accordo da quando i loro obiettivi sono diventati inconciliabili: la mamma ha scelto di essere una donna in carriera, lavora per la Danone, guadagna tanti soldi ed è quasi sempre in viaggio, mentre il papà si accontenta di scrivere libri per gli altri rimanendo confinato tra le mura domestiche. La grande ambizione dell’una è in netto contrasto con la totale mancanza di ambizioni dell’altro al punto che ha eretto tra i due un muro invalicabile.
Simon, come spesso accade in questi casi, si ritrova nel mezzo, vittima inconsapevole degli errori degli adulti. Il suo vero punto di riferimento però è il papà. È lui che lo accudisce, che gli prepara i pasti, che sbriga le faccende domestiche affinché viva in un ambiente pulito e ordinato. La mamma, invece, è una presenza scostante; è quasi sempre via e quando torna a casa, tra un viaggio di lavoro e l’altro, sembra accorgersi a mala pena della sua esistenza. Da quando è andata nel paese dei canguri non l’ha più sentita neanche per telefono perché chiama sempre mentre dorme.
Così quando una mattina, al suo risveglio, Simon trova il padre rannicchiato nella lavastoviglie e poi apprende che dovrà andare a stare in una clinica per un po’ perché si è ammalato, si ritrova completamente smarrito in una realtà che non ha più nulla di rassicurante.
Certo, non è del tutto solo. C’è la nonna Lola che gli vuole bene e che è pronta a prendersi cura di lui fino a che il papà non torna ma non sembra ben disposta a fornirgli le risposte di cui ha bisogno.
Sarà Lily, una bambina incontrata nella stessa clinica in cui è ricoverato suo padre, che lo aiuterà a comprendere. A differenza dei grandi, lei non avrà timore di chiamare le cose con il loro nome e di spiegargli alcune tristi verità.

«Il tuo papà ha una malattia che è difficile da capire per i grandi.»
«Perché, Lily?»
«Perché è una specie di specchio in cui nessuno vuole guardare. Tutti hanno le loro debolezze, i loro momenti di stanchezza, di stress, quindi a chiunque può capitare di passare davanti a quello specchio […]Nessuno ha voglia di sentir parlare di questa malattia , che può andare a bussare alla porta di chiunque in qualsiasi momento […]»

Attraverso un dialogo sospeso tra l’onirico e il surreale, Simon riuscirà finalmente a capire quello che sta accadendo; si confronterà con il male oscuro che ha colpito il papà e, gradualmente, giungerà anche alla scoperta di un terribile segreto che riguarda sua madre.
Con grandissima delicatezza l’autore affronta in queste pagine due temi scottanti: la depressione e la morte e lo fa adottando il punto di vista di un bambino. La storia che ci consegna diviene dunque il limpido affresco di un dramma visto con gli occhi dell’infanzia. Simon si racconta in prima persona; filtrando il tutto attraverso il linguaggio semplice e diretto tipico della sua età, ci consente di compenetrare il suo stato d’animo, le sue ansie, le sue angosce. A volte prevale l’ingenuità che normalmente ci  si aspetta da un bambino di nove anni e che non manca di strappare un sorriso; altre emerge una maturità precoce derivata dall’esperienza e a quel punto il sorriso cede il posto a un nodo che stringe lo stomaco.
La trama, fortemente ancorata alla realtà, si sviluppa in una bolla in odore di realismo magico. Pur non perdendo mai il contatto con la concretezza Gilles Paris non rinuncia a quel pizzico di magia che comunque connota la fanciullezza. Il suo racconto schietto e privo di artifici si tinge così di sfumature che finiscono per rendere il romanzo unico nel suo genere. La nonna Lola, che pur rifugge il confronto diretto, è una donna molto stravagante; organizza sedute spiritiche insieme alle sua amiche streghe, vive in una casa in cui si respira un’atmosfera surreale e frequenta un uomo che lavora al lunapark. A suo modo è una versione moderna e più realistica della fiabesca fata madrina e, inconsapevolmente, getta un ponte tra il nipote e l’entità che saprà guidarlo verso la comprensione e l’accettazione della verità.
Bambina in carne e ossa, fantasma, angelo, amica immaginaria… è impossibile stabilire cosa o chi sia Lily in realtà. Forse è niente di tutto ciò o tutto questo insieme, di certo è una guida capace di dare un senso all’incomprensibile, di rendere più tollerabile il buio e mostrare uno spiraglio da cui possa tornare a filtrare la luce.
A dispetto della drammaticità dei temi trattati, Il bambino nel paese dei canguri, trasmette infatti un forte messaggio di speranza. Un libro toccante e, in un certo senso rigenerante, parla di perdite e di dolore ma, alla fine, lascia i riflettori puntati sulla possibilità della rinascita.



 
 
 

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