martedì 18 febbraio 2014

Recensione: La moglie dell'albergatore

Titolo: La moglie dell'albergatore
Autrice: Allison Moore
Editore: Bollati Boringhieri
Collana: Varianti
Pagine: 171
Prezzo: 15,50

Finalista al Man Booker Prize 2012

Descrizione:
Fresco di divorzio, Futh decide di intraprendere lo stesso viaggio in Germania compiuto da bambino insieme al padre, subito dopo l’abbandono della madre. Prima tappa, l’albergo di Bernard ed Ester, una coppia dal rapporto ambiguo, pieno di tensione. Bernard sospetta ripetuti tradimenti da parte dell’irrequieta moglie e la tiene continuamente d’occhio. L’incontro tra solitudini e una scelta improvvisa quanto banale da parte di Futh precipiteranno in un finale del tutto imprevisto. Con una scrittura avvincente che procede per piccole sorprese e continui spiazzamenti, Alison Moore ci accompagna tra le pieghe di un incontro fatale.

L'autrice:
Alison Moore è nata a Manchester nel 1971. i suoi racconti sono stati pubblicati in numerose riviste e antologie, tra cui Best British Short Stories 2011. La sua ultima raccolta, The pre-war House and Other Stories (2013) è stata nominata per il Frank O’Connor International Short Story Award 2013. Vive vicino a Notthingam con il marito e il figlio.
 
La mia recensione:

Futh è appena stato lasciato dalla moglie Angela. Ancora incapace di elaborare la perdita decide di concedersi una breve vacanza ma, più che una vera  occasione di distrazione, il viaggio solitario a cui si appresta sembra essere un ritorno al passato teso a frugare i luoghi della memoria e a insistere nella ricerca di qualcosa che forse l’uomo ha perduto per sempre. Aveva dodici anni quando ha percorso lo stesso itinerario con suo padre subito dopo la partenza della madre. Abbandonato allora come ora, Futh non ha che i ricordi con cui trastullarsi o tormentarsi nel tentativo di riempire il vuoto. Mentre cammina in solitudine lungo gli stessi sentieri di montagna su cui il papà lo ha iniziato al trekking, la sua mente corre a ritroso sul filo degli anni ricostruendo una vita marchiata a fuoco da ripetuti abbandoni.
Su un binario parallelo si svolge la storia di Ester, la moglie dell’albergatore presso cui Futh ha affittato una stanza per sole due notti, la prima e l’ultima del suo viaggio.
I due personaggi si sfiorano ma non si incontrano mai davvero però hanno in comune più di quanto possano immaginare. Toccherà proprio al lettore, assecondando il ritmo incalzante di una serie di svolte inattese, svelare il sottile mistero che li lega.
Ester è sola e abbandonata non meno di Futh. Sono i lividi malamente nascosti sotto il trucco pesante tutto ciò che le resta di una storia d’amore, in realtà non nata sotto una buona stella. Lei il marito lo ha ancora al suo fianco e porta addosso i segni della sua presenza, eppure in qualche modo se ne è andato. Che fine ha fatto l’uomo che la teneva stretta sotto le coperte e che sembrava avere occhi solo per lei? Le sembra trascorsa un’eternità dal giorno in cui è svanito senza lasciare traccia, o meglio lasciando un estraneo al suo posto che le volta la schiena e, spesso, la lascia sola in un letto diventato troppo grande.
Due solitudini diverse e simili allo stesso tempo, sono i due fili che Alison Moore intreccia per tessere una trama originale quanto densa di significati tesa a scandagliare l’esperienza del lasciare e dell’essere lasciati. La moglie dell’albergatore si connota così come un romanzo fortemente introspettivo pur offrendosi al lettore in una veste intrigante e dinamica tale da inchiodarlo alla pagina e spingerlo alla riflessione senza mai risultare tedioso. Molteplici sono i rimandi di sapore freudiano ravvisabili tra le righe, dal complesso di Edipo che caratterizza Futh, alla coazione a ripetere di cui i protagonisti sono vittime, passando per la sindrome dell’abbandono. L’autrice, quasi fosse una psicanalista, scava a fondo nell’inconscio dei suoi personaggi consentendoci di conoscerli intimamente e, contemporaneamente, portando in superficie dinamiche e conflitti in cui, in misura diversa, ci si può riconoscere.
A rendere viva e particolarmente intrigante la lettura è poi la sua capacità di coinvolgere e solleticare i diversi sensi, primo fra tutti l’olfatto che qui gioca un ruolo fondamentale divenendo una sorta di specchio privilegiato della memoria.
Il profumo corrisponde a un ricordo indelebile, una traccia del passato che il tempo non può cancellare.
Futh è diventato persino un creatore di profumazioni sintetiche per mestiere, mosso dall’intimo desiderio di trovare una chiave per imprigionare gli odori e far sopravvivere con essi il passato.
La sua vita è costellata, infatti, di profumi capaci di risvegliare nella sua mente i ricordi belli e quelli brutti.
Il profumo di violetta, di cui conserva ancora una bottiglietta vuota, per esempio, gli rievoca la madre, mentre l’odore di fumo di sigaretta reca il dolore legato al tradimento e alla conseguente perdita di Angela.
I profumi sono una banca dei ricordi anche per Ester, lo sono quelli che conserva gelosamente in un cassetto e lo è quello di canfora, indissolubilmente legato a suo marito.
E sarà proprio l’olfatto a rompere gli schemi in maniera imprevista preparando il terreno per un finale spiazzante quanto rivelatore.
Un romanzo delicato e profondo allo stesso tempo, un vero a proprio viaggio interiore che ci conduce nelle profondità della mente e del cuore, da leggere tutto d’un fiato e poi rileggere per coglierne tutte le sfumature. Breve ma incredibilmente intenso, proprio come un profumo capace di lasciare una scia o tracce durature sulla pelle.







Nessun commento:

Posta un commento