martedì 31 maggio 2016

Recensione: Incubo

Titolo: Incubo 
Autore: Wulf Dorn 
Editore: Corbaccio 
Pagine: 368 
Prezzo: 17,60

Descrizione:
 «Quella notte, sdraiato a guardare le ombre sul soffitto della camera, la sua mente era occupata da un unico pensiero. Era un pensiero che gli girava nella testa come un uccello nero e non voleva più andare via. 

Perché sono sopravvissuto?»
Simon è un ragazzo difficile, rinchiuso da sempre nella sua malattia. La sua vita precipita in un incubo dopo la morte dei genitori in un terribile incidente d’auto, dal quale Simon esce miracolosamente illeso. Fobie, allucinazioni, sogni che lo tormentano ogni notte. Costretto a trasferirsi dalla zia Tilia dopo un periodo di riabilitazione in ospedale, passa le sue giornate esplorando la campagna sulla bicicletta del fratello Michael. Nella zona sembra aggirarsi un mostro: una ragazza è scomparsa, e una notte si perdono le tracce anche di Melina, la fidanzata di Michael, il quale diventa l’indiziato principale. Insieme a Caro, una ragazza solitaria che Simon conosce nel collegio che inizierà a frequentare a settembre, Simon affronta le proprie paure più nascoste e va a caccia del lupo che miete le sue vittime nel bosco di Fahlenberg.
Oscuro, inquietante, avvolgente, Incubo è il nuovo psicothriller di Wulf Dorn.

L'autore:
Wulf Dorn, anno 1969, ama le storie appassionanti, i gatti e viaggiare. Per vent’anni ha lavorato come logopedista in una clinica psichiatrica, e da questa sua esperienza ha tratto grande ispirazione per i suoi romanzi e, inizialmente, per i suoi racconti che hanno ricevuto numerosi premi. Ma è con il suo romanzo d’esordio, La psichiatra, uscito nel 2009, che ha ottenuto un successo internazionale e da allora tutti i suoi libri, Il superstite, Follia profonda, Il mio cuore cattivo, e Phobia (pubblicati in Italia da Corbaccio e tutti anche in edizione TEA) sono diventati dei bestseller e sono tradotti in numerose lingue. 

La mia recensione:

L’Incubo di cui vi racconto oggi comincia quando il peggio sembra essere passato. Dopo una lunga reclusione in un istituto psichiatrico, finalmente, Simon sta per tornare a casa.
Certo, il trauma che ha subito ha lasciato segni indelebili, come le immagini dei genitori carbonizzati che continuano a tornare in sogno, le cicatrici sui polsi che spesso prudono risvegliando in lui la voglia di farla finita, alcuni buchi nella memoria che forse non potrà più colmare, il senso di colpa per essere sopravvissuto – saresti dovuto morire anche tu, continua a ripetergli la voce nella sua testa; ma nonostante ciò potrà riabbracciare il fratello Mike e la zia Tilia, ovvero tutto ciò che resta della sua famiglia, e questo è un passo importante per tornare a una parvenza di normalità.
Quel che Simon non sa, e non può affatto sospettare, è che fuori dalla sua “prigione” il mondo è andato avanti, anche senza di lui, niente è più lo stesso e quel che immagina come un felice ritorno al poco che rimane della sua vecchia vita, sta per tradursi in ben altro. Dal club dei fuori di testa a quello degli scaricati: questo, in realtà, è il passaggio che lo aspetta.
La casa dei genitori, quella in cui ha trascorso i suoi anni felici, è stata venduta mentre lui era via, la zia gli ha riservato un posto nella stanza degli ospiti (quella delle persone di passaggio), è pronta ad accoglierlo ma non è intenzionata a tenerlo con sé e Mike… lui adesso ha una ragazza, Melina, è il centro del suo mondo e non ha tempo per occuparsi sul serio del suo fratellino svitato. Dopo una breve vacanza in un surrogato di famiglia, Simon sarà scaricato in un college, quello più tetro dell’ospedale psichiatrico, con il vicepreside che ha un sorriso da dentifricio ma gli occhi da lupo cattivo.
A ben pensarci, non si può dire che abbia fatto un salto di qualità.
Unica nota di colore in questa nuova realtà, che ha tutta l’aria del suo peggiore incubo, è rappresentata da Cora… beh, colore forse non è la parola giusta da associare a una ragazzina come lei: sempre vestita di nero, pallida come un cadavere, i piedi perennemente chiusi in un paio di scarpe con i teschi. Tuttavia è l’unica ad avere davvero del tempo da dedicare a Simon, l’unica a non giudicarlo, ad ascoltarlo, a volergli essere amica, probabilmente perché anche lei è sola. Cora è una delle studentesse del collegio in cui andrà Simon, anche lei è un membro del club degli scaricati, i suoi genitori, infatti, si disinteressano così tanto  a lei da lasciarla in istituto persino d’estate.
Ed è proprio nello spazio di questa estate malata che si sviluppa la trama concepita da Wul Dorn: un’estate fatta di corse in bici all’aperto, di escursioni nella foresta di Fahlenberg e di incursioni in un vecchio hotel abbandonato; un’estate fatta di sogni infranti, di vecchi incubi che non se ne vanno e di nuovi che prendono forma, come l’idea che nel bosco si aggiri davvero un lupo cattivo, giacché da giorni i notiziari parlano di Leonie, un’adolescente scomparsa, che si teme sia appunto finita nelle grinfie di un assassino.
Sono atmosfere che ricordano “It” di Stephen King, miste di nostalgia e terrore, di giochi all’aperto e di mostri che ghignano nell’oscurità, quelle che caratterizzano questo romanzo. Come d’abitudine, l’autore ci guida nei recessi più nascosti dell’inconscio, ci invita a sfidare la cantina buia dell’anima, imbastendo un thriller psicologico superbo. Ci fa strisciare ai confini della realtà e toccare con mano la follia, depistandoci ripetutamente, poiché traccia un percorso destinato a condurci a un capolinea assolutamente inimmaginabile, tanto imprevedibile da risultare quasi scioccante. Questa volta però si spinge oltre e supera se stesso, perché ci regala un’opera che travalica con decisione i confini di genere. Incubo non è semplicemente un thriller, di quelli che bevi in sorso perché ti stregano e ti impediscono di distogliere lo sguardo, è un esempio di Letteratura con la “l” maiuscola. Come lo stesso Dorn spiega nelle sue  note conclusive, Incubo ci parla delle nostre più grandi paure: quella della morte e quella della transitorietà.
Con un realismo agghiacciante ma nello stesso tempo commovente e malinconico, ci costringe a guardare il tempo che passa, gli scenari che cambiano, le persone care che se ne vanno, l’infanzia che svanisce come il canto dei grilli sul finire dell’estate. E ci tiene in scacco proprio per questo, perché nel narrarci una storia al limite, ci narra anche di noi, di un bagaglio di timori, interrogativi e speranze che ci portiamo dentro. Nel regalarci un finale che colpisce come un pugno allo stomaco, ci offre anche una sorta di oasi che si chiama ricordo, l’unico spazio in cui i brutti i sogni tacciono e ciò che è andato continua a vivere, per sempre.
Ho tremato e ho pianto leggendo questo libro e l’ho amato così tanto che lo terrò fra quelli da rileggere assolutamente. Non fatevelo scappare.


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