sabato 28 maggio 2016

Recensione: L'inferno è buio e freddo

Titolo: L'inferno è buio e freddo
Autrice: Gabriella Grieco
Editore: I sognatori
Pagine: 194
Prezzo: 13,90
Disponibile qui

Descrizione:
“L’inferno è buio e freddo” è un thriller ambientato in una zona imprecisata dell’Italia. È il sequel del romanzo “La morte è un’opzione accettabile”, pubblicato nel 2013 da I Sognatori. La trama è la seguente: Isabella (protagonista del primo episodio) si è ricostruita una vita. Una notte, mentre sta guidando, per poco non investe una ragazza sbucata dal nulla. La ferisce soltanto, per fortuna. La ragazza è spaventata, sta fuggendo ma inizialmente il romanzo non spiega da chi né per quale ragione. La domanda resta in sospeso. Superato il prologo, l’azione si sposta altrove e i personaggi cambiano. Il romanzo descrive un poveruomo abbandonato a se stesso in un luogo (buio e freddo) dal quale non può fuggire. Non vede nulla, non sente nulla, non sa come ci è finito e perché. Sa solo che, come la ragazza dell’incipit, anche lui avverte la necessità di fuggire. Quale sia il rapporto fra i due e in che modo influenzerà il plot, sta ai lettori scoprirlo.



La mia recensione:
La perdita di un figlio è un lutto per cui non c’è nome, non c’è consolazione. Per Isabella, che ha perso prematuramente il suo, c’è solo un bisogno di vendetta, giacché qualcuno glielo ha ammazzato. La sua però è una sete implacabile, tanto che dopo aver punito a suo modo i responsabili non si è chetata, è rimasta lì a covare nel fondo del cuore per anni, come fosse un fastidioso ronzio di sottofondo, unico suono peraltro a tenerle compagnia in un’esistenza che ormai si trascina vuota e inutile.
È uno strano incontro, o meglio uno scontro, a risvegliare le sue pulsioni vendicative. Una sera la donna rischia di investire con la sua auto una ragazza che le taglia la strada all’improvviso. Si ferma, la soccorre, si offre di darle un passaggio, ma quando scopre che non ha un posto dove andare e che è terrorizzata, non esita a portarla a casa sua. Dana è in fuga da persone che l’hanno ferita nel fisico e nell’anima, è una creatura fragile braccata, sola, ma soprattutto è una madre che ha perso un figlio, proprio come lei.
In Dana, Isabella rivede se stessa, il suo dolore ma non di meno una fiammella di speranza, perché forse il figlio di Dana non è perduto irrimediabilmente, forse si può fare ancora qualcosa…
Nasce così un sodalizio letale. Le due donne fanno squadra: Dana si poggia a Isabella, ripone in lei la sua fiducia inseguendo il sogno di riavere il figlio e la libertà perduta, di potersi regalare una seconda chance; Isabella, attraverso Dana, tenta di appagare il bisogno di vendetta che si è risvegliato con i ricordi, e nel contempo intravede un modo per ristabilire un senso di giustizia, per concedersi una forma di compensazione, come se aiutando la giovane che tanto le somiglia dentro possa aiutare anche se stessa, ridando uno scopo alla sua vita.
Si tratta di un fine comprensibile se non giustificabile. I mezzi di cui Isabella e la sua complice si serviranno per raggiungerlo saranno, invece, diabolici.
Attraverso una prosa dal ritmo serrato, l’autrice ci cattura nelle maglie di un piano orchestrato nei minimi dettagli, crudele, perverso per alcuni aspetti, eppure assolutamente razionale.
Senza svelarvi il disegno – che vi assicuro vi sorprenderà – vi dirò che vi ritroverete in una prigione composta da tre celle con tre diversi detenuti. I tre uomini sono pedine sulla scacchiera predisposta da Isabella, elementi indispensabili alla realizzazione del suo piano.
La narrazione segue, in alternanza, i punti di vista dei vari personaggi, non solo quello di Isabella che è il burattinaio della situazione, ma anche quello dei tre sequestrati. In questo modo entriamo nella mente dei vari attori di questo dramma, conosciamo le loro ragioni, ne percepiamo le sensazioni, seguiamo il filo dei loro pensieri, sentendoci partecipi di tutto quello che accade.
Da un lato penetriamo nelle celle – inferni bui  e freddi – per condividere il senso di angoscia dei reclusi, la paura dettata dall’oscurità, dal gelo, dalla solitudine, dalla privazione sensoriale ma soprattutto dall’attesa di qualcosa di indefinibile. I rapiti non sanno chi li ha presi, non sanno perché sono lì, ignorano cosa li aspetta.
Dall’altro esploriamo la lucida follia di una madre trasformatasi in spietato aguzzino. A colpire di Isabella non è solo la fredda determinazione con cui dà seguito ai suoi propositi ma la sua profonda conoscenza delle psicologia umana, di cui si serve per manipola e soggiogare gli uomini alla sua mercé, non solo fisicamente.
Sebbene sia spietato il suo modo di agire, rimane impossibile però identificarla davvero come carnefice in opposizione alle sue vittime. La storia di cui si narra, in effetti, non ammette una netta distinzione fra buoni  e cattivi, non solo perché Isabella è capace di mostrare due facce – l’una crudele con i prigionieri, l’altra amorevole con Dana che accoglie come fosse una figlia – ma perché i destinatari della sua “cattiveria” non sono degli innocenti. Due di loro in particolare si affermano per un cinismo che lascia davvero senza fiato, per una disumanità tale da farci apparire persino blande le torture a cui la rapitrice li sottopone.
Leggendo ci si sente oppressi e lacerati, proprio per l’assenza di equilibrio e di reale giustizia che rimane sempre lì ad aleggiare sullo sfondo, al pari di un’ombra malefica. Ad acuire l’inquietudine contribuiscono poi le tematiche che attraversano l’intero romanzo, crude quanto reali, ripercorrendo il dramma di Isabella e di Dana, tocchiamo infatti temi come la compravendita di minori e lo sfruttamento della prostituzione.
Un thriller psicologico raffinato e gestito con grande padronanza, nella forma e nei contenuti, ci inchioda alla pagina fino a trascinarci verso  un finale assolutamente imprevedibile, un finale in cui non c’è sconto di pena, non c’è redenzione, solo un vago senso di rivalsa che non appaga ma, in maniera assolutamente realistica, mette in evidenza la miseria umana.



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