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venerdì 5 settembre 2014

Recensione: Essere Melvin

Titolo: Essere Melvin. Tra finzione e realtà
Autore: Vittorio De Agrò
Editore: self publishing
Pagine: 420
Prezzo cartcaeo: 10, 50
Prezzo Ebook: 0,99
Disponibile qui

Descrizione:
Essere Melvin è per un verso la storia di un cavaliere temerario che deriva la sua audacia da un rapporto con la realtà tutto trasfigurato dalla finzione; per altro verso è la storia di una vendetta lungamente preparata e macchinosamente architettata. Dirò di più: il libro stesso è una gigantesca rivalsa, non contro qualcuno in particolare, ma contro la misura colma delle frustrazioni e delle delusioni, contro una vita che somiglia troppo poco a quella sognata. Un romanzo d’avventure, dunque? Certo. Purché il lettore sia avvertito che le terre di conquista sono tutte interiori, e che l’eroe era ben poco equipaggiato ad affrontare i mostri, i draghi, gli stregoni e i briganti che non sospettava di nascondere in sé. Melvin è una storia vera. (Dalla prefazione di Guido Vitiello).
 
L'autore:
Vittorio De Agrò è nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili.
Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il blog: ilritornodimelvin.wordpress.com che è stato letto da 13000 persone e visitato da 57 paesi nei 5 continenti.

“Essere Melvin” è il suo primo romanzo. Nel 2014 produrrà un corto ispirato al libro.
 
La mia recensione:

La personale odissea di un ragazzo alla ricerca della sua dimensione nel mondo: il romanzo di cui sto per parlarvi è, è in parte, questo. È l’autobiografia di un essere sensibile, forse troppo per la realtà che lo circonda, è la cronaca di un’estenuante battaglia per la conquista della propria identità.  Una storia di dolore, morte e rinascita, estremamente singolare ma che reca in sé tracce di universalità.
Melvin sceglie di raccontarsi mettendo a nudo l’anima; lo fa accogliendoci nell’intimità della stanza in cui si svolgono le sedute con il suo psichiatra, lo Splendente. È dunque attraverso un dialogo schietto, privo di filtri quanto sofferto, che si delineano i contorni di una vita, assai dissimile da quella sognata, una vita oscurata dall’ombra della follia.
In principio è la storia di un bambino come tanti,  amato, probabilmente in modo soffocante e sbagliato, da due genitori che già lo immaginano adulto, perfettamente aderente al modello che hanno prefigurato per lui.
Il padre lo vorrebbe playboy; la madre laureato e  con un posto fisso.
Melvin non è tagliato per essere né l’uno né l’altro. Le donne lo inibiscono, se non nella sua fantasia,  e di studiare non ha voglia.
Si sforza di essere ciò che i suoi vorrebbero ma colleziona un fallimento dopo l’altro e, quando il padre muore prematuramente, gli rimane il senso di colpa per averlo deluso. È solo l’inizio di un lungo percorso in discesa. Il senso di inadeguatezza sviluppato nei confronti della figura paterna, accompagnerà Melvin lungo tutto il suo cammino, marchierà a fuoco il suo rapporto con l’altro sesso e con la realtà in senso lato inducendolo a comportamenti sempre più patologici che lo condurranno sull’orlo di un baratro.
La sua risposta a una realtà per cui non si sente all’altezza, sarà la fuga in un mondo immaginario, alimentato dall’universo patinato delle fiction televisive, per cui nutre una smodata passione, e dal nido virtuale offertogli dal web.
Vivrà in bilico, Melvin, fino a che non perderà di vista il confine e si riscoprirà spaccato in due.
Il suo è il racconto, quasi surreale, di una realtà continuamente trasfigurata dalla finzione in un eterno sovrapporsi di avvenimenti reali e interpretazioni distorte degli stessi. Melvin finisce per vivere la sua stessa vita come fosse una fiction nella quale gioca a interpretare diversi ruoli, a fingersi quello che non è. Intesse relazioni virtuali, vive intense storie d’amore nella sua testa e si scontra puntualmente con le stesse delusioni ogni volta che esce fuori dal guscio delle sue fantasie.
Flavia, Ambrosia, Caterina, l’Aspirante… tante sono le donne protagoniste delle fiabe d’amore che si racconta. Sono donne reali, vicine eppure irraggiungibili per un ragazzo che non riesce a scendere a patti con la possibilità concreta di essere amato.
Qualcosa è cambiato, è il titolo della fiction che segue con ardore mentre nella sua vita, quasi per ironia della sorte,  niente cambia mai perché Melvin è intrappolato nel terribile meccanismo della coazione a ripetere.
Ci si stupisce e ci si commuove leggendo, e allo stesso tempo si entra in forte empatia con il protagonista. Nonostante le sue stranezze e la sua patologia, a tratti, ci si rispecchia persino nel suo disagio. Sì, perché essere Melvin non è da tutti, ma il senso di inadeguatezza, il timore di deludere le aspettative di chi ci ama, la schizofrenia di una società in cui la linea di demarcazione tra reale e virtuale è sempre più labile, sono difficoltà con cui più o meno tutti, sebbene in misura diversa, ci ritroviamo a fare i conti.
Scendere a patti con la realtà e con il dolore di crescere è un’esperienza difficile per tutti. C’è chi è più forte e ne esce indenne, ma c’è anche chi si rivela più fragile. In tal caso, la conquista della propria identità può trasformarsi in un’impresa epica, come per Melvin che, quasi fosse un Don Chisciotte dei tempi moderni, si ritrova a combattere con i suoi mostri (file), immaginari, ma non meno pericolosi di quelli in carne e ossa.
Un romanzo insolito, coinvolgente e coraggioso, che ci offre con onestà una difficile esperienza di vita realmente vissuta e, nello stesso tempo ci regala la speranza, mostrandoci come sia possibile rialzarsi dopo aver toccato il fondo, come si possa combattere con dignità e fierezza l’incubo della malattia psichica, non solo con un aiuto medico adeguato, ma soprattutto con l’ausilio della propria volontà.












giovedì 12 dicembre 2013

Recensione: Alla ricerca di Fatima

Titolo: Alla ricerca di Fatima 
Autore: Ghada Karmi 
Editore: Atmosphere Libri 
Pagine: 420 
Prezzo: 18,00 euro
Descrizione:

Alla ricerca di Fatima: una storia palestinese narra la vita di Ghada Karmi, medico palestinese, che trascorre l’infanzia in un sobborgo benestante di Gerusalemme con due fratelli, i genitori e il cane Rex, affidata alle cure della domestica Fatima. Quando la famiglia è costretta a fuggire in Inghilterra a causa delle crescenti violenze degli ebrei nei confronti della popolazione araba, Ghada deve imparare a convivere con la perdita progressiva e definitiva del paese in cui è nata, sostituito da Israele. L’impatto con l’Inghilterra non è troppo traumatico: la scelta di privilegiare l’identità inglese è naturale e all’inizio risolutiva. Quando, ormai laureata in medicina, sceglie di sposare un inglese, Ghada difende il suo matrimonio agli occhi della famiglia tradizionalista e giudicante, difendendo allo stesso tempo la fittizia identità inglese che ha attribuito a se stessa e rifiutando in toto quella araba. Ma ben presto le contraddizioni di una tale decisione esplodono in tutta la loro violenza: durante la guerra dei Sei giorni Ghada farà i conti con l’indifferenza, o addirittura l’ostilità, di tutti quelli che credeva vicini, marito incluso. Consapevole di non potersi più nascondere e convinta di dover cercare se stessa scavando nel passato, Ghada si getta anima e corpo nell’impegno politico, quasi cercasse un’assoluzione per aver trascurato la storia del suo popolo: negli anni Settanta inizia a lottare per far sentire la voce dimenticata degli esuli palestinesi, si reca nei campi profughi dove lavora come medico, e alla fine va a vivere in Siria. Finché comprende che nemmeno quello è il suo posto: perché la vita in Inghilterra non può essere cancellata con un colpo di spugna. Incapace di sentirsi “a casa” dovunque provi, Ghada decide alla fine di visitare i luoghi della sua infanzia, “tornando” in Israele (e alla vecchia casa di Qatamon) utilizzando il suo passaporto inglese. Solo dopo questo viaggio capirà che non esiste per lei alcun posto dove fermarsi: che non sarà mai un’inglese, non potrà mai tornare in Palestina, e non appartiene per intero nemmeno al mondo arabo. E proprio questo senso di sradicamento, condiviso da migliaia di palestinesi, la spinge a raccontare la storia dei moltissimi uomini e donne privati, come lei, del proprio paese e del proprio futuro.

L'autrice:

Ghada Karmi è nata nel 1939 a Gerusalemme da una famiglia musulmana. È palestinese, emigrata con la famiglia in Inghilterra nel 1948. Dottore in medicina, autore soprattutto di saggi e accademico. Scrive spesso sulla questione palestinese su giornali e riviste, tra cui The Guardian, The Nation e il Journal of Palestine Studies. Dal 1999 al 2001 è stata Associate Fellow del Royal dell’Institute of International Affairs, dove ha condotto un importante progetto sulla riconciliazione israelo-palestinese. Attualmente Ghada Karmi è Research Fellow presso l’Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica dell’Università di Exeter. Vive a Londra.

La mia recensione:
 
Ghada ha solo cinque anni quando, insieme ai genitori e ai fratelli, è costretta ad abbandonare il suo mondo per trasferirsi in Inghilterra. Il papà assicura che sarà solo per poco, tanto che tutti prendono lo stretto indispensabile e persino il cane, Rex, viene affidato temporaneamente alla domestica, Fatima.  
In realtà, alla sua casa natia, la famiglia Karmi non farà più ritorno e non sarà la sola.
È il 1948, in Palestina è stato istituito lo stato di Israele e molte famiglie arabe, come quella di Ghada,  sono costrette a fuggire  per mettersi al riparo dai violenti attacchi degli ebrei. Tutti, nel fondo dei loro cuori, custodiscono se non la certezza almeno la speranza che si tratti di una situazione passeggera, che qualcuno fermerà l’avanzata ebraica e che l’incubo si concluderà con il legittimo rientro a casa dei palestinesi. Le cose però andranno diversamente.
Il viaggio in Inghilterra per la protagonista, così come per molti suoi connazionali, segnerà l’inizio di un lungo esilio. 
Alla ricerca di Fatima è un romanzo autobiografico, un sentito racconto in prima persona attraverso cui l’autrice rende la sua testimonianza della diaspora. Quelle che ci offre sono pagine pervase di un’atmosfera intima, intrise di ricordi che ci conducono tra le sue mura domestiche  ma che assumono un significato ben più ampio perché, a partire da un’esperienza particolare e unica, ci raccontano la storia di un popolo.
Leggere questo libro, in definitiva, significa concedersi uno sguardo su una scottante pagina di storia mediorientale, significa entrare nel merito della questione palestinese provando a inquadrarla da una prospettiva diversa dal solito
La peculiarità di questo libro è quella di fornirci un dettagliato e puntuale resoconto storico degli avvenimenti ma affiancando, alla storia esterna, quella interiore. L’esilio di cui Ghada ci parla è infatti anche e soprattutto un esilio psicologico ed è su questo aspetto, in particolare, che ci fa riflettere.
Quando abbandona la Palestina per andare a vivere in Inghilterra, lei è solo una bambina. Vive il trauma del distacco, avverte lo spaesamento, ma l’impatto con la nuova realtà per lei non è del tutto negativo. A differenza degli adulti, Ghada non ha ancora assimilato a fondo la cultura araba, non ha ancora acquisito un’identità ben definita, cosicché riesce ad adattarsi al nuovo con una certa facilità.
Crescendo finisce per integrarsi nella comunità inglese al punto che lei stessa comincia a sentirsi “un’inglese con la pelle più scura”. I ricordi d’infanzia non vanno perduti ma con gli anni sbiadiscono insieme, per esempio, alla padronanza della lingua araba. 
Pur essendo vittima di alcuni episodi di razzismo, Ghada finisce per sentirsi accettata nel  nuovo paese ma, nel tempo, comprende di essere destinata a rimanere per sempre, comunque, una senza patria, una persona spaccata a metà e privata del vero senso di appartenenza.
Ghada si sente inglese ma non lo è davvero, è palestinese ma quando in età adulta riesce  tornare in Palestina − per un breve soggiorno in veste di turista −, scopre di non essere più riconosciuta fino in fondo neanche come araba
Il romanzo attraversa un lunghissimo arco temporale, dall’infanzia alla maturità la protagonista ci accompagna lungo il suo percorso di vita soffermandosi sulle tappe fondamentali del suo cammino, dagli studi che la portano a diventare un medico al matrimonio travagliato con un inglese, dalla scelta del divorzio fino al capitolo del suo attivismo politico.
È una vita intensa la sua, gravida di difficoltà ma anche di successi, ad attraversala come una ferita rimane però il senso di sradicamento. La ricerca di Fatima menzionata nel titolo è, di fatto, una ricerca simbolica più che reale. Fatima, la vecchia domestica palestinese, rappresenta per Ghada l’infanzia, il profumo, il colore di quella terra a cui non può tornare più. La perderà all’inizio della sua odissea e non avrà occasione di rincontrarla, proprio come accadrà per la sua patria.
Scritto con il chiaro intento di informare e far riflettere piuttosto che intrattenere, Alla ricerca di Fatima, non è un libro che si legge tutto d’un fiato. Il corposo bagaglio di informazioni e di riferimenti storico-politici, unitamente a uno stile fortemente descrittivo, a tratti, rallentano un po’ la lettura. Tuttavia è un romanzo estremamente interessante e che merita di essere letto perché fa luce su una questione spinosa e ancora aperta, ci aiuta  comprendere i fatti ma ancor di più i sentimenti e i conflitti interiori che vi si celano dietro umanizzando una vicenda di cui spesso si parla ma della quale, forse, non si sa mai abbastanza.